Pubblicato su politicadomani Num 64 - Dicembre 2006

L'intervista
Un Testimone di ordinaria follia in Terra Santa
Riflessioni personali di un prete cattolico che vive a Betlemme

a cura di Fabio Ciarla

Padre Pietro può raccontarci l'idea di 'normalità' che si vive tra palestinesi e israeliani? Come le due popolazioni riescono a convivere, se si può parlare di convivenza, nonostante i carri armati e gli attacchi terroristici?

"Normalità" è un concetto che può generare confusione se non si riferisce a dei principi di condotta e a dei valori comunemente accolti e difesi. La normalità per una persona sana è diversa da quella di un portatore di handicap. La normalità di comportamento per un adulto, responsabile e maturo, è diversa dalla normalità di comportamento in un adolescente e giovane.
I popoli che vivono in Terra Santa, l'israeliano, ebreo o arabo che sia, e il palestinese arabo, costituiscono delle nazioni giovani. Sono popoli sofferenti e insofferenti per varie vicende storiche. Le crisi di crescita sono normali e la loro adolescenza si prolunga nel tempo.
Nella Palestina storica, ebrei, musulmani e cristiani sono cresciuti ed hanno vissuto insieme per secoli senza problemi di rilievo. Erano tutti palestinesi, dominati da altre nazioni: romani, bizantini, arabi, crociati, turchi, inglesi. Tutti condividevano la stessa vita, dolce o amara, bella o brutta che fosse.
Forte del principio "una terra senza popolo per un popolo senza terra", il movimento sionista europeo, nel corso del ventesimo secolo, ha importato centinaia di migliaia di ebrei. Questi hanno trovato in Palestina, considerata terra dei loro antenati, un rifugio sicuro perché erano ricercati e perseguitati da regimi totalitari, bolscevico-comunista e nazista-hitleriano. I nuovi arrivati si impossessarono delle terre arabe, o comperandole o espropriandole, o cacciando i legittimi proprietari con la violenza. Da qui nascono le ingiustizie inflitte per ideologia, o sopportate con amarezza, che hanno spezzato la convivenza armoniosa tra i palestinesi, ebrei e arabi.
Con la nascita dello Stato d'Israele (1948), frutto di violenze e di attentati, i palestinesi arabi sono stati cacciati dalle loro città e villaggi con il terrore e l'inganno. Oltre 300 villaggi palestinesi arabi sono stati rasi al suolo, migliaia di case arabe sono state occupate dai nuovi inquilini sionisti ebrei.
Alle ingiustizie di ieri, si è aggiunto il dramma dei profughi palestinesi di oggi. Dramma che attende una soluzione dopo oltre 60 anni, nonostante decisioni e carte dei diritti internazionali.
Nel 1967, dopo la guerra dei sei giorni, Israele ha occupato il resto della Palestina fino allora annessa alla Giordania (1948-1967). Nell'intento di ricomporre il grande Israele, lo Stato d'Israele ha cominciato a confiscare i terreni degli arabi palestinesi, a costruire nuove colonie ebraiche, a far venire altri immigranti ebrei (Russi, Etiopici, Argentini, Francesi…), e a facilitare l'emigrazione dei palestinesi. Operazioni decise dai politici e protette dai militari israeliani. A questi tutto era permesso e concesso con la scusa di assicurare la sicurezza degli israeliani.
Nonostante questo, la convivenza tra i due popoli era fatta di buon vicinato. Le nuove generazioni volevano lavorare, guadagnare per migliorare la loro condizione sociale e familiare. Gli israeliani avevano bisogno di mano d'opera e si riversavano sui mercati palestinesi dove i prezzi erano più contenuti.
Le due intifade e la restituzioni delle città palestinesi - ma non dei villaggi - all'Autorità Palestinese hanno scatenato un susseguirsi di violenze, umiliazioni, separazioni, imprigionamenti, distruzioni di case, espropri di terreni. Nell'intento di sedare la ribellione dei palestinesi, la repressione israeliana è stata brutale, usando la punizione di massa, trasformando le città palestinesi in grandi prigioni a cielo aperto, incrementando la distruzione di case, sradicando alberi, calpestando le coltivazioni. Senza contare le uccisioni facili. Ogni persona poteva essere considerata un terrorista. I Palestinesi, umiliati, volevano vivere liberi e ricuperare la dignità dovuta ad ogni persona umana. Per noi italiani, basti pensare all'opera dei partigiani. Questa situazione ha accentuato e fatto scoppiare solo odio e spirito di vendetta, mettendo i due popoli in uno stato di totale insicurezza. Ora, un giovane palestinese non può capire un israeliano poiché per lui l'israeliano è il militare violento e senza scrupoli. Così pure un israeliano non può capire un palestinese perché per lui ogni palestinese è un kamikaze e un terrorista. Eppure, di qua e di là del muro, si incontrano tante persone che si impegnano in un'opera di riavvicinamento, di pacificazione e di riconciliazione, imboccando la strada del riconoscimento dei rispettivi diritti, di tutti i diritti, e spianando la strada per una riparazione onorevole delle ingiustizie, di tutte le ingiustizie.

 

Quali sono le parti più deboli che quindi stanno vivendo le conseguenze peggiori della guerra continua in Terra Santa?

Possiamo dire che in Terra Santa c'è guerra? La guerra è uno scontro violento tra due parti contrapposte, limitato nel tempo, e con tanti morti. In Terra Santa si è instaurata una situazione di violenza senza fine, con tante vittime viventi.
Quali sono le parti più deboli che stanno vivendo le conseguenze peggiori di questo regime di violenza?
I bambini palestinesi sono stati e sono traumatizzati dalle azioni dei militari che sparano, bombardano, irrompono nelle loro case distruggendo ciò che trovano. I bambini israeliani sono scioccati nel vedere bus sventrati da esplosioni causate dai kamikaze.
I giovani palestinesi, obbligati a vivere entro un territorio limitato, sono sempre e comunque considerati dei potenziali terroristi; in realtà essi reclamano solo libertà e dignità. Quanto ai giovani soldati israeliani, essi sono spesso obbligati dai loro ufficiali ad esercitare la violenza verso altri esseri umani.
I malati palestinesi, dovendo ricorrere a cure specialistiche presso i grandi ospedali israeliani, non riescono ad ottenere dal governatore militare il permesso di uscire dal loro territorio, o, se ottenuto, spesso il soldato di turno al posto di blocco impedisce loro il transito. Molti malati sono morti e parecchie donne incinte hanno partorito al posto di blocco sotto gli occhi insensibili dei soldati.
Le famiglie sono spesso divise dal muro, oppure obbligate a separarsi se uno degli sposi ha la carta d'identità d'Israele e l'altro quella della Palestina. E c'è anche l'enorme difficoltà per un papà arabo israeliano di fare registrare all'anagrafe il figlio avuto con una palestinese.

 

La relativa calma che si stava raggiungendo è stata scossa dalla costruzione del muro da parte di Israele, dalla vittoria di Hamas alle elezioni, dalla guerra in Libano e, più recentemente, dalle operazioni israeliane nella Striscia di Gaza. Cosa pensa di questi eventi, lei che li vive attraverso e con le popolazioni locali?

Il muro costruito da Israele per ragioni di sicurezza è una vergogna per Israele ed una ingiustizia eclatante. I muri cadono e Israele li costruisce; li costruisce sul terreno dei palestinesi, impedendo ai proprietari di lavorare le loro terre e di raccoglierne i frutti. A che serve quel muro di cemento se insieme ad esso è stata innalzata una muraglia di odio e di sospetti? I due popoli hanno bisogno di ponti per parlarsi, capirsi e ricucire gli strappi, frutto di una politica sbagliata. Se in un prossimo futuro la Palestina avrà il suo stato indipendente, i palestinesi avranno l'orizzonte aperto verso l'oriente, e Israele si troverà chiusa nel ghetto che si è costruita. I ghetti sono ricordi del passato; perché averne nostalgia?
La vittoria di Hamas è comprensibile. Hamas è un movimento nato con l'appoggio di Israele, che ha fatto tanto per il popolo e per le classi più povere; possedeva e possiede scuole, ospedali, centri di assistenza caritativa. La sua vittoria è stata una risposta ad un regime corrotto. Le sue posizioni intransigenti fanno paura a chi ha la coscienza sporca e macchiate di crimini. Hamas è composta da persone che, ne sono convinto, possono evolvere e fare delle scelte nuove per il bene comune.
La guerra in Libano è stato uno sbaglio enorme e grossolano. Essa ha creato una grave crisi politica in Israele. La storia ci rivelerà quali sono stati i veri motivi che hanno fatto esplodere quella violenza così sproporzionata e distruttiva, il cui scopo non è stato raggiunto.

 

Padre Pietro può raccontarci un episodio che faccia capire anche a migliaia di chilometri di distanza cosa significa vivere in Palestina e in Israele oggi?

Di esempi ne avrei tanti da raccontare, ma ne racconto solo due.
Amore proibito. Il mio assistente contabile, arabo palestinese cristiano di Gerusalemme, si è sposato nel 2000 con una ragazza palestinese dei territori, conosciuta all'università cattolica di Betlemme. Nel 2002, la Knesset (il parlamento israeliano) emanò una legge, secondo la quale era proibito ad un israeliano, anche se arabo, di sposare una ragazza palestinese. La legge aveva effetto retroattivo. Lo sposo, come tanti altri nella stessa situazione, doveva separarsi dalla moglie. Nel 2002 è nato loro il primo figlio. L'anagrafe di Gerusalemme ha rifiutato di riconoscerlo se non dopo parecchi mesi di pratiche e di tribunali. Il figlio, frutto dell'amore, era considerato figlio di nessuno. L'impiegato municipale aveva chiesto al giovane di non avere più figli perché non sarebbero più stati iscritti all'anagrafe. Solo alcuni mesi fa, la moglie ha ottenuto il permesso di vivere liberamente col marito. In agosto, la donna ha partorito una bambina, e il papà, dopo quattro mesi, non è ancora riuscito a farla riconoscere come sua figlia. Sono centinaia i casi in cui, secondo la legge razzista, l'amore è proibito.
Riconciliazione possibile. Ho conosciuto l'animatore del Circolo "Parent's Forum", ed ho visitato questo centro di riconciliazione e di perdono. Di che cosa di tratta? Famiglie israeliane che hanno perso un figlio ucciso da un palestinese, e famiglie palestinesi che hanno perso un caro ucciso da un soldato israeliano, si incontrano periodicamente per condividere lo stesso dolore. Queste famiglie si sono unite ed hanno creato un Forum per dire alla società israeliana e palestinese che la violenza non è la via per risolvere i problemi; che la morte di un giovane innocente non è la risposta che i due popoli si aspettano. Le attività del Parent's Forum sono finalizzate a sensibilizzare la società e a condurla a credere che la riconciliazione e il perdono sono possibili. Tra le attività c'è quella di parlare agli studenti nelle scuole: una coppia di genitori israeliani e una coppia di genitori palestinesi parlano insieme della loro esperienza di dolore e del loro entusiasmo per aver imboccato la via che conduce alla pacificazione dei cuori… e alla pace. Un giorno, una scuola di ragazze arabe di Gerusalemme aveva rifiutato di ascoltare tale testimonianza. Alla fine di un'ora, nel salone regnava un silenzio assoluto e le ragazze erano commosse fino alle lacrime. Conclusione, le giovani adolescenti hanno chiesto alle due coppie di genitori di ritornare e di parlar loro di perdono e di pace.

 

Esistono e, se si, quali sono le possibilità di pace future per l'area? L'occidente, l'Italia, e in particolare i cristiani possono fare qualcosa concretamente?

La pace è possibile e il cammino per arrivarci è irreversibile. Le parti in causa devono conoscersi senza pregiudizi negativi, incontrarsi senza mettere condizioni e parlare senza interpreti dei problemi comuni; devono avere il coraggio di scelte politiche che tolgano progressivamente le cause delle ingiustizie, di scelte di fede per riconoscersi tutti nello stesso Dio, di scelte religiose senza manipolare i Libri sacri per scopi svianti.
All'occidente, all'Italia e ai cristiani chiedo di sventolare meno bandiere dai colori dell'arcobaleno con la scritta "Pace", e di organizzare dei sit-in davanti alle fabbriche di armi e di denunciarne i trafficanti. L'Italia è uno dei paesi che vendono tante armi ai popoli del Medio Oriente. Le armi non sono soprammobili o oggetti da museo, ma mezzi da usare e consumare.
Inoltre chiedo a tutti di informarsi in maniera obiettiva circa la situazione politica intricata del Medio Oriente. Sono sempre stupito davanti a quelle persone che dicono di aver capito le ragioni di Israele o le ragioni dei palestinesi perché hanno letto un articolo di giornale. Personalmente posso dire che dopo quarantaquattro anni di vita condivisa con questi popoli ho capito ben poco delle ragioni dei politici e delle trame sataniche che giocano con la violenza e non si curano della sacralità della vita umana.

 

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