Pubblicato su politicadomani Num 63 - Novembre 2006

I classici del cinema
Tempi moderni: un affresco colorato in bianco e nero
Poesia e realtà nell'America degli anni '30

di Chiara Comerci

Siamo nel 1936, il 47enne Chaplin, attore, sceneggiatore, regista, compositore e produttore, è già un artista affermato sotto tutti i punti di vista. Il cinema vive una vera e propria rivoluzione: l'avvento del sonoro (che fa la sua prima comparsa nel 1927). Sua la poco profetica frase: "Il sonoro? Cinque sei mesi al massimo e poi scomparirà" (1931), tanto poco profetica che "Tempi Moderni" è un curioso misto di muto e sonoro, in cui alla voce si fa fare la "parte del cattivo".
Ma andiamo con ordine.
Il film nasce quattro anni dopo l'ultimo lavoro, "Luci della città", e dopo un viaggio che Chaplin si concede in Europa e che lo porta a contatto, oltre che con i suoi numerosissimi fans, con i grandi che fanno la storia di quel periodo. "Tempi moderni" è un film girato con precisione maniacale (tre anni di lavorazione e circa 100mila metri di pellicola), che fotografa con lucidità la condizione dei lavoratori in America durante il periodo della Grande Depressione: scioperi continui, disoccupazione alle stelle, metodi di produzione alienanti e disumani (impazzava allora il fordismo, che trasformava gli operai in automi alla stregua dei macchinari che gestivano), criminalità e povertà diffuse. Ma la denuncia è ben lontana dagli intenti dell'artista, che dipinge con toni poetici e comici le conseguenze della follia collettiva di quegli anni. Charlot viene infatti ricoverato in una clinica a causa dell'esaurimento nervoso dovuto ai ritmi forsennati di lavoro e alle pretese sempre maggiori del direttore della fabbrica. All'uscita dall'ospedale viene coinvolto, suo malgrado, in una manifestazione di disoccupati e arrestato perché ritenuto il leader della sommossa. In carcere involontariamente sventa un tentativo di evasione dei detenuti, fatto che gli ottiene la rimessa in libertà ed una lettera di presentazione del direttore per trovare un impiego. Nel frattempo la situazione non migliora, nella famiglia di un disoccupato si vive di espedienti finché il padre viene ucciso da un colpo di pistola esploso dai poliziotti per sedare un'altra rivolta. Due delle tre figlie, orfane, vengono affidate ad un istituto. La più grande riesce a scappare, ma la attende comunque una vita in strada. Charlot, dopo una sfortunata esperienza presso un cantiere navale, tenta di tornare in carcere (dove aveva vitto e alloggio), ma l'incontro con l'orfana, cui cerca di restituire la libertà accusandosi di un furto da lei commesso, cambia le cose. Si succedono ancora lavoro, prigionia, di nuovo lavoro, finché la coppia decide di tentare la sorte altrove, allontanandosi a braccetto.
Particolarità dell'uso del sonoro: le musiche (scritte dallo stesso Chaplin) sono interrotte da alcuni rumori, dalla voce del direttore della fabbrica, dal disco registrato che presenta l'inventore della macchina per nutrire gli operai al lavoro, dalla radio. E, in via del tutto eccezionale, dalla voce dello stesso Charlot che canta in un locale una canzone di cui ha dimenticato le parole. Qui si sente la potenza del commento sonoro, che come in nessun altro film è personaggio, scenografia delle emozioni più della mimica dei personaggi stessi. Dove c'è musica c'è sentimento, dove c'è voce (mediata dagli altoparlanti) c'è alienazione, c'è il lato prosaico della società.
Alla sua uscita, in America e in Germania, il film non incontrò né i favori del pubblico né quelli della critica, e venne tacciato di comunismo.

 

Homepage

 

   
Num 63 Novembre 2006 | politicadomani.it