Pubblicato su politicadomani Num 63 - Novembre 2006

Da Mosè all'11 settembre
Sapere è potere
I nuovi scenari dell'intelligence: si è verificato un cambiamento radicale con l’emergere del terrorismo internazionale a livelli di offesa non prevedibili prima dell’undici settembre

di Alberto Foresi

Spiare: secondo gli addetti ai lavori il mestiere più antico del mondo. E non si obbietti che un'altra nobile arte mena vanto di tale invidiabile primato, giacché spesso le due attività si intrecciano e talvolta si sovrappongono. Fatto sta che oggi non esiste nazione al mondo - Vaticano incluso - che non disponga di apparati più o meno esplicitamente incaricati della raccolta di informazioni e, parallelamente, volti ad impedirne l'acquisizione da parte di soggetti non graditi. E tutto fa pensare che ciò non sia una prerogativa esclusiva del mondo contemporaneo, bensì una costante che ha caratterizzato sin dai primordi della civiltà ogni compagine statuale socialmente organizzata. Quando Mosè, dietro esplicito volere divino, deve portare il suo popolo nella terra promessa, prima di muoversi manda in Palestina degli uomini in avanscoperta, per conoscere la natura del luogo, le usanze dei suoi abitanti, la fertilità del suolo. Nell'antica Grecia esisteva sia il corpo dei kataskopoi (esploratori), militari scelti incaricati di compiere missioni ricognitive per studiare i nemici, sia i sicofanti, con funzioni di controllo interno e di polizia politica. Come dire: spionaggio e controspionaggio. Analoghe funzioni troviamo a Roma, con gli exploratores e gli agentes in rebus, funzionari imperiali addetti al controllo interno e alla vigilanza sui vari apparati dello Stato. Grandi spioni furono, nel Medio Evo, i monaci girovaghi, soprattutto i monaci greco-bizantini, che non destavano sospetti ed erano difesi dall'abito monastico. Forse anche San Francesco, quando si recò dal sultano d'Egitto, stava compiendo un'azione spionistica. O più probabilmente, involontario spione, sarà stato interrogato al suo rientro per accertare se era venuto a conoscenza di qualche notizia utile ed interessante.
In realtà il desiderio di conoscenza è elemento caratteristico dell'uomo, curioso per natura, e la raccolta di informazioni non è altro che la razionalizzazione e l'organizzazione di tale fenomeno. Tutti noi, nel nostro piccolo, siamo degli spioni e tutti noi, oggetto di curiosità altrui, mettiamo in atto, anche inconsapevolmente, strategie di protezione o di depistaggio per difendere la nostra privacy. E a tutti noi è evidente che più cose sappiamo sulle persone o sulle istituzioni con cui veniamo in contatto, più controllo e potere possiamo esercitare nei loro confronti. I genitori verso i figli, un coniuge sull'altro, un parroco sui suoi fedeli, un dirigente sui suoi dipendenti… anche notizie apparentemente inutili possono prima o poi servire. E tutto ciò vale ovviamente più o meno in egual misura nelle relazioni fra le varie nazioni e anche al loro interno. Nessun marito si fida ciecamente della moglie. Nessuno Stato si fida degli altri Stati, amici o nemici che siano, e soprattutto non si fida dei suoi cittadini, sempre possibile fonte di eversioni, truffe e quant'altro.
Fin qui, tuttavia, si parla di normale attività investigativa o di attività informativa volta alla raccolta, alla selezione e all'analisi delle informazioni in qualche modo spesso di pubblico dominio, reperibili cioè sulla stampa, su internet o in rapporti ufficiali divulgati; solo che, subissati continuamente da una valanga di notizie, difficilmente l'uomo comune ha la capacità di ricordare, mettere in relazione dati di diversa natura e trarre conclusioni da elementi di cui peraltro è, o può, essere in possesso. Lo spionaggio è un gradino superiore nell'acquisizione delle informazioni: non si tratta solo di raccogliere e vagliare notizie magari trascurate ma comunque pubbliche: è invece il tentativo di sapere ciò che un altro individuo o un'altra nazione non vuole che noi sappiamo. E ovviamente l'efficacia di tali conoscenze è tanto maggiore se l'altro non sa che noi sappiamo. L'intelligence a questi livelli comporta operazioni rischiose, al limite e talvolta anche al di là della legalità. Per questo i principali servizi segreti, pur operando solitamente alle dirette dipendenze del potere esecutivo, hanno a disposizione un'ampia autonomia: a nessun governo conviene essere sempre ufficialmente informato sulle operazioni riservate, sì da potere, all'occorrenza, disconoscere la legittimità del loro operato e scaricare le responsabilità su qualche capro espiatorio. La vicenda milanese del rapimento di Abu Omar sembra rientrare, ad esempio, in questa casistica.
La fine della guerra fredda, contrariamente a quanto spesso si pensa, non ha portato grandi cambiamenti nel mondo dell'intelligence: si è continuato a spiarsi come prima, amici o nemici che si fosse. Il cambiamento radicale si è verificato con l'emergere del terrorismo internazionale a livelli di offesa non prevedibili prima dell'11 settembre. Il mutato contesto ha comportato anche un radicale mutamento operativo. Sino a quel momento c'era stato il fronteggiarsi di strutture sostanzialmente simili, all'interno di un quadro operativo che, nonostante l'ostilità, riconosceva delle reciproche regole comportamentali. La contrapposizione non escludeva il dialogo e talvolta perfino la collaborazione. La minaccia terroristica si configura invece come un nemico che agisce nell'ombra, senza seguire alcuna regola almeno tacitamente condivisa dai contendenti; è un nemico imprevedibile, che mescola in una nuova singolare miscela aggressiva le tecnologie più avanzate e i mezzi di lotta e di comunicazione più arcaici. È soprattutto, in virtù di una coesione etnica e religiosa, un nemico impenetrabile, in cui è estremamente difficile infiltrare propri agenti. Parimenti, per le forti motivazioni ideologiche che caratterizzano i suoi adepti, è improbabile riuscire a reclutare con promesse di denaro qualche suo membro al fine di essere informati di quanto si trama. E per fronteggiare questo nuovo occulto pericolo da più parti si solleva la richiesta di concedere sempre maggiore potere ed autonomia agli organi di informazione e sicurezza. Potere ed autonomia che, se da una parte possono ostacolare la minaccia terroristica, dall'altra possono rivelarsi essi stessi una minaccia per la libertà individuale di ogni cittadino e per la tutela dei suoi diritti costituzionali. È su questo difficile piano che si colloca ogni ridefinizione politica dell'ambito di intervento e del potere di azione dei servizi segreti nelle democrazie occidentali. Preservare la libertà dei cittadini, anche esponendoli a possibili minacce, o garantire al massimo la loro tutela, anche sacrificando, almeno in parte, la loro libertà?

 

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