Pubblicato su politicadomani Num 63 - Novembre 2006

Tratti di un linguaggio teatrale
L'arte di Pippo Del Bono
“Per soffermarsi su quell'attimo, eterno, che racchiude il silenzio della morte e il silenzio della vita. Là, in quel luogo, riemerge un mondo di infanzia e di vecchiaia. Il silenzio dei vecchi e il silenzio dei neonati. La nascita, la morte e la rinascita alla vita” (P.D.B.)

di Damiano Sansosti

Delbono nasce a Varazze, provincia di Savona, nel 1959. All'inizio degli anni ottanta si trasferisce in Danimarca, dove si unisce al gruppo di teatro Farfa, diretto da Iben Nagel Rasmussen attrice storica dell'Odin Teatret. Qui studia come attore e danzatore dell'Oriente, due tecniche che approfondirà nei successivi soggiorni in India, in Cina e a Bali. Tornato in Italia, comincia a lavorare al suo primo spettacolo, Il tempo degli assassini, che debutta nel 1987. Lo spettacolo sarà portato poi in una lunga tournée internazionale e sarà rappresentato non solo nei teatri, ma anche nelle carceri e nei villaggi popolari sudamericani.
Con un'abilità di rappresentazione in tanti contesti diversi, che diventa elemento caratterizzante dell'arte di Del Bono e una sua necessità personale, in questa sua prima opera si definiscono già i tratti del suo linguaggio teatrale, minimalista e decadente, tragico ed esistenziale, caratteristico di tutte le sue successive creazioni. "Giacche e cravatte. Sul palcoscenico solo due sedie. Luce bianca. Una pila, una sigaretta, un giocattolo da bambino, ciglia finte, una bottiglia di birra, una lettera, un microfono, bolle di sapone, vecchi blues, musica classica, rock, salsa, motivetti degli anni '30. Due storie parallele. Pensare di uccidere qualcuno che ami. Prendersi in giro. Imitare i Blues Brothers. Imitare Stanlio e Ollio. Passerelle da Music Hall. Giocare con il pubblico. Raccontare delle storie. Una persona può morire per un colpo di Stato in Argentina. In un altro continente un persona può morire di overdose".
Tappa fondamentale nel percorso artistico e personale di Del Bono sarà l'incontro, avvenuto nel 1998, con Bobò, un "diverso", un microcefalo sordomuto, che egli incontra per caso nel manicomio di Aversa e che lo accompagnerà, in veste di attore, in ogni suo spettacolo: "Si trattava di fare un seminario ed era proprio in manicomio! Il manicomio di Aversa. Era un seminario per attori al quale alcuni pazienti dell'ospedale partecipavano come osservatori. Mangiavamo lì con loro, dormivamo lì. E lì, ogni pomeriggio, puntualmente veniva un omino che si sedeva molto compitamente a osservare. Così, a un certo punto, l'ho invitato a partecipare al lavoro. Era Bobò, sordomuto, microcefalo; era stato rinchiuso lì per 45 anni. Questo omino faceva delle cose bellissime. Non sapevo se ero io così matto, ma lui mi era sembrato subito un grande attore, poetico, dolce, misterioso, con un movimento aggraziato, delicato, bellissimo. E poi c'erano insieme a lui altri pazienti e anche con loro si era creato qualcosa di molto profondo. Qualcosa di molto grande ci univa in quel momento, loro lo percepivano e io li sentivo molto vicini".
L'incontro sarà determinante: il tratto caratterizzante dell'arte di Del Bono sarà la sua capacità estrema di rappresentare la marginalità, la malattia, la sofferenza e le diversità della vita sul palcoscenico, coinvolgendo lo spettatore che si scopre a giocare, danzare, e a vivere nelle grida e nelle forme "altre" dei corpi in scena. Un circo di persone che vengono dal mondo della "anormalità", dell'handicap, della follia e delle realtà marginali e che riversano nella rappresentazione e nella comunicazione teatrale la tragedia del loro esistere.
Danza e teatro di strada, letteratura, poesia, morte. Gli spettacoli si susseguono e si aprono a esperienze politiche e civili, sono dominati da tensione poetica, testimoniano la radicalità del vissuto dei protagonisti. "Gente di plastica", "Urlo", "Il silenzio", "Her bijit"(traduzione dal curdo: "Che tu possa vivere per sempre"), "Questo buio feroce", "Barboni". C'è voglia di ironia, c'è paura, c'è confusione, c'è la necessità di capire sempre più a fondo il senso e il trascorrere dell'esistenza. Del Bono porta in scena ogni volta tutta la drammaticità, terribile, irripetibile e solenne dell'esistenza "valorizzando l'unicità e la straziante bellezza di modi espressivi e comunicativi diversi, anomali, ma efficaci quanto e anche più di quelli cosiddetti normali, se solo ci si dispone davvero al loro ascolto".
Nelle sue rappresentazioni Pippo Del Bono è attore, regista teatrale, mimo. È l'urlo, tragico ed esistenziale, di una comunicazione estrema e invadente. Si identifica con la scenografia allestita in una grossa stanza piena di barchette di carta, è un cantiere navale che diventa palcoscenico, con i suoi operai, ma anche con gli attori, i deformi, i matti, i musicisti, gli extracomunitari e la gente di strada scelta a caso ogni volta in un nuovo paese. Pippo Del Bono è la musica di Frank Zappa, sarcastica e inquietante rivisitazione del "sogno americano" dopo l'11 settembre, che stride e sfocia nella poesia più dolorosa e disperata di Sarah Kane. Pippo Del Bono è una maschera che l'arte ogni volta nuovamente indossa per abbattere ovunque i muri dell'ignoranza.
Nel 2004 Pippo Del Bono riceve il David di Donatello per "Guerra", come miglior documentario di lungometraggio, realizzato durante la tournée in Israele e Palestina tra il dicembre 2002 ed il gennaio 2003. Creazione poetica tragica ed esistenziale, "Guerra" rappresenta forse la sua opera più incisiva, nella quale tutti i personaggi si perdono nel tentativo di aggrapparsi alla vita ricercandola e trovandola nell'amore e nelle piccole grandi paure degli uomini in guerra. Il dolore che egli descrive è rinascita, è un cadere negli abissi per nuovamente tornare ad essere, nella fantasia del teatro. Facendo del disagio e della fatica di vivere la sua arte, da inscenare quotidianamente, per salvarsi così dal delirio e dall'annientamento interiore ed esteriore: "Per soffermarsi su quell'attimo, eterno, che racchiude il silenzio della morte e il silenzio della vita. Là, in quel luogo, riemerge un mondo di infanzia e di vecchiaia. Il silenzio dei vecchi e il silenzio dei neonati. La nascita, la morte e la rinascita alla vita".

 

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