Pubblicato su politicadomani Num 61/62 - Set/Ott 2006

Integralisti
Tendenze politiche
Gli "esportatori di democrazia" non hanno capito assolutamente niente delle culture e delle società in cui hanno operato

di Fabio Ciarla

Da sempre la diplomazia ha avuto nel dialogo, nella comprensione, nella conoscenza delle parti in causa e degli "avversari" le sue armi migliori. Oggi però il sempre più frequente ricorso all'uso delle armi da parte di nazioni nelle quali in passato era la diplomazia ad avere la preminenza evidenzia delle novità da non sottovalutare. Prima di tutto il cambiamento radicale del significato e la percezione dell'avversario: è infatti ormai ben nota la differenza pratica di dover combattere un'organizzazione multicentrica, ramificata e internazionale invece di un esercito regolare. Sul campo di battaglia queste novità si sono palesate, purtroppo, con i numerosi colpi messi a segno contro gli "esportatori di democrazia": oltre tremila morti solo fra i soldati statunitensi in Iraq, centinaia di morti negli attentati più spettacolari degli ultimi tempi, le ormai innumerevoli vittime civili che si contano giornalmente in città come Bagdad, e una situazione di tensioni internazionali al limite della esplosione. Sul piano teorico invece queste differenze non sono state affrontate come sarebbe stato necessario. Di certo è arduo indagare sulle motivazioni alla base di azioni suicide; più semplice è etichettarle come frutto di un integralismo religioso di tipo medievale; più difficile ancora è arrivare a comprendere perché questi aspiranti suicidi godano di appoggi, protezioni e coperture in larga parte della popolazione comune. Questi appoggi, che gli Stati Uniti si ostinano a non voler vedere in Iraq come in Afghanistan e tanto meno in Palestina, hanno portato proprio in Medioriente a risultati imprevedibili e, per di più, difficilmente controllabili proprio sul piano democratico.
Hezbollah in Libano e Hamas in Palestina hanno infatti partecipato a libere elezioni riportando un'ottima affermazione nel primo caso e una completa vittoria nel secondo. Si tratta dell'ennesima prova che gli "esportatori di democrazia" non hanno capito assolutamente niente delle culture e delle società in cui hanno operato.

Il caso Hamas
Questa incapacità di comprensione ha addirittura portato a strategie suicide, come è successo in Palestina. In questo caso si tratta della sciagurata strategia di ritiro di Israele dai territori occupati: l'abbandono della "polveriera" di Gaza, culla di Hamas, per concentrare l'attenzione verso le zone ben più tranquille della Cisgiordania, dove sono ancora forti i moderati e laici sostenitori di al-Fatah, ha significato far sorgere nei palestinesi l'idea che dove c'è Hamas gli occupanti israeliani hanno difficoltà. Perché, allora, non mandare gli estremisti islamici al governo per liberarsi del giogo di Tel Aviv? Questo semplice ma pericoloso sillogismo - lo stesso che spinge a giustificare anche i metodi terroristici degli integralisti - è stata forse la spinta finale e decisiva verso la vittoria di Hamas alle elezioni. Un risultato però che è anche indubbiamente figlio delle mancanze e dei difetti, gravissimi, dell'Autorità Palestinese nata dagli accordi di pace.
La megastruttura creata da Arafat e mantenuta dai suoi collaboratori e successori, notoriamente basata più sulla corruzione e sulla eliminazione di ogni esponente della opposizione interna che sulla politica, ha portato allo stremo le forze e la pazienza del popolo palestinese. Nonostante l'Autorità desse lavoro a una mole impressionante di persone, non è servita a far crescere l'economia e ad aprire prospettive di un futuro migliore alla popolazione - perché è proprio questo quello che i palestinesi vogliono, come tutti i popoli del mondo. Il fallimento del primo governo guidato da Hamas ne è la prova più lampante. Negli scioperi e nella rivolta della società civile palestinese della primavera e dell'estate appena passate, sono stati dimenticati l'odio verso Israele, le rivendicazioni e la necessità del ritorno ai confini del 1967: la fame e la disperazione, frutto del blocco degli aiuti internazionali, sono stati più forti delle ideologie.
Il fatto che il futuro Stato palestinese dipenda in maniera viscerale e oggettiva dall'Occidente costringe a tre diverse considerazioni: in primo luogo occorre riflettere sui modi per trattare nell'area; in seconda battuta questo implica una grande responsabilità per i Paesi e gli organismi che si occupano degli aiuti; infine, ed è la terza considerazione, viene da chiedersi se è giusto e quanto può durare uno Stato dipendente dall'aiuto di altre comunità.
Tralasciando le questioni prettamente teoriche fondate prevalentemente su pregiudizi di vecchia data, è necessario persistere sulla strada per la Pace indicata proprio dal dietrofront di Hamas, quando questo ha proposto di formare un governo di unità nazionale con al-Fatah, per sbloccare almeno parte dei finanziamenti dall'estero. I palestinesi si sono accorti che l'integralismo islamico, che tanto prestigio e tanta forza aveva conquistato con le attività di assistenza ai più poveri, non era la panacea di tutti i mali perché nel passaggio dalla guerra sul campo alla politica della stanza dei bottoni Hamas ha clamorosamente fallito.

Il caso Hezbollah
Per Hezbollah la situazione è diversa ma non del tutto in quanto il Libano è sì uno Stato sovrano a tutti gli effetti, al contrario della Palestina, ma il governo nazionale ha una forza - o, per meglio dire, una debolezza - simile a quella della vicina Autorità fondata da Arafat. E infatti quando si parla del "partito di Dio" (Hezbollah) si usano espressioni del tipo "stato nello stato", ovvero di una realtà che è capace di condizionare il governo centrale, di gestire fondi e uomini, e di provocare e favorire ingerenze esterne molto forti sul governo libanese, come quella dei vicini Siria e Iran. Uno dei nodi centrali della tregua in corso infatti è quello della vigilanza ai confini tra la Siria e il vicino paese dei cedri, passaggio che servirebbe a rifornire di armi Hezbollah. Ulteriore nodo è la vicinanza con la Palestina, dove ci sono problemi per il medesimo motivo ai valichi con l'Egitto.
Si dovrebbero tenere ben presenti queste vicinanze che anche per il "dopo", ovvero per la ricostruzione del Libano e la rinascita di una società laica. La forza di interposizione ONU giunta nel paese ha il compito non facile di offrire al governo centrale libanese la possibilità di essere il protagonista dell'aiuto alla popolazione e il vero artefice della ripresa in tutto il Paese, e di esercitare interventi tali da limitare al massimo il peso delle iniziative autonome di Hezbollah.
È così che funziona in uno Stato democratico, ed è così che si può frenare l'ascesa di ideologie integraliste nemiche della pace.

Soggetti politici
Hezbollah e Hamas, dunque, si sono dimostrati entrambi soggetti politici molto più capaci delle diplomazie occidentali. Sono entrati in politica, nascondendo le armi, nel momento e con le modalità giuste per riscuotere successo. Evidentemente, da un lato per la corruzione dell'Autorità Palestinese e le strategie di Israele, che abbiamo chiamato "suicide", (meglio chiarite in altra parte su questo stesso numero n.d.r.), dall'altro per la debolezza del governo libanese nelle democrazie mediorientali si sono creati dei vuoti che gli integralisti si sono preoccupati di riempire traendone una legittimazione impensabile solo fino a qualche hanno fa.
Attenzione però, anche la maggior parte delle dittature del secolo scorso sono iniziate così, "democraticamente". Perciò nonostante le sconfitte del momento sia di Hamas sia di Hezbollah (costretto quest'ultimo quantomeno a lasciare le postazioni nel sud del Paese), è necessario che non si abbassi la guardia e si pensi a fare seriamente politica e a praticare fino alla ostinazione i metodi della diplomazia. Solo governando ed operando meglio di quanto abbiano fatto e continuano a fare gli integralisti si potrà sconfiggerli e metterli in un angolo, in uno stato a democrazia matura. Questo, ovviamente, succederà però soltanto quando i popoli riceveranno qualcosa di più del semplice assistenzialismo e prospettive future più interessanti di quelle di tipo medievale che sono costretti a vivere ora.

 

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