Pubblicato su politicadomani Num 61/62 - Set/Ott 2006

Il realismo di Orwell
Il sonno della ragione
"Sono tanto semplici gli uomini e tanto obbediscono alle necessità presenti, che colui che inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare". da “Il principe” di Niccolò Machiavelli

di D.S.

Era il 1940, durante la Seconda Guerra Mondiale, e George Orwell, redigendo i testi delle trasmissioni radiofoniche per l'intelligence britannica che stava cercando di contrastare la propaganda giapponese e tedesca, si trovò ad essere l'eccezionale testimone del declino del pensiero e della politica, conseguenza dell'uso, invadente e indiscriminato, della propaganda politica di governo.
"La lingua inglese diventa brutta e trascurata perché i nostri pensieri sono sciocchi, ma la sciatteria della nostra lingua rende più facile avere pensieri sciocchi" scriveva.
Gli eufemismi che i leader politici usavano sempre più spesso contribuivano a ridurre progressivamente le capacità di comprensione della gente comune. "Newspeak", è il nome del linguaggio, di questo modo dei britannici di fare informazione e comunicazione politica. Un vero e proprio "non-sense".
Nella comunicazione moderna, dice Orwell: "Le realtà della guerra sono troppo brutali da affrontare per la maggior parte delle persone e non quadrano con gli obiettivi rivendicati dai partiti politici. Di conseguenza il linguaggio politico deve basarsi in larga misura su eufemismi, petizioni di principio e massima vaghezza. Uomini e donne vengono tenuti per anni in prigione senza un processo, o giustiziati con una pallottola alla nuca... questo viene chiamato eliminazione degli elementi inaffidabili. Abitanti di villaggi indifesi vengono bombardati dall'alto e questo viene chiamato pacificazione".
Orwell farà del potere del linguaggio nelle comunicazioni di massa il soggetto della sua ultima opera: "1984", scritta nel '48. Il romanzo, ambientato nell'anno a venire 1984, è una denuncia senza appello contro gli abusi di potere dei governi ("Il Grande Fratello"), perpetrati in maniera subdola: la rinuncia "volontaria" alla libertà in cambio della prosperità economica. "1984" è il risultato finale dell'attenzione che Orwell, raffinatissimo intellettuale, ebbe nei confrontidelle dinamiche sociali e politiche; è la "summa" delle grandi paure orwelliane, dal totalitarismo alla corruzione del linguaggio, dall'annullamento della libertà individuale alla falsificazione e alla perdita di memoria storica indotta proprio dai mezzi di informazione.
In "1984", un numero ristretto di Stati - Oceania, Eurasia ed Estasia - si dividono le risorse energetiche, riscrivono il loro passato in modo da piegarlo ai loro scopi, trasformano i mezzi di informazione in mezzi di propaganda. Più che di una metafora si tratta per Orwell di una rappresentazione obiettiva del suo tempo.
"Bipensiero" è il termine coniato dall'autore per indicare il meccanismo con il quale il potere riesce a confondere i cittadini celando loro la vera essenza della propria natura totalitarie e repressiva. Bipensiero perché ad una parola sono attribuiti due significati opposti. Un tale artificio lessicale, dice Orwell, è necessario per la sopravvivenza delle società totalitarie le quali, in quanto rifuggono dal confronto, hanno bisogno del supporto generalizzato e costante della gente in relazione a progetti politici mutevoli e perfino inesistenti. Esempi tipici del bipensiero sono gli slogan politici di propaganda del "Grande Fratello" del romanzo: "la guerra è pace", "la libertà è schiavitù", "l'ignoranza è forza".
Le moderne tragedie e devastazioni, insegna Orwell, sono l'effetto del sonno della ragione. Il suo messaggio è quello di sottoporre sempre tutto a verifica, perfino il proprio pensiero, perché anch'esso potrebbe essere contaminato da quella "neolingua" creata apposta per offuscare le menti.

 

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