Pubblicato su politicadomani Num 61/62 - Set/Ott 2006

Il Papa e l'Islam
Regensburg e dintorni
La testimonianza di chi, vivendo in un paese islamico ed essendo interessato a interagire con il mondo arabo, ha sentito il bisogno di occuparsi delle parole di Benedetto XVI

di Ciro Gravier Oliviero*

Non mi ero affatto occupato del discorso del Papa a Regensburg, ritenendolo un nostalgico ritorno ai luoghi della sua vita studiosa di professore, più o meno al pari di quello che può succedere a quanti di noi siamo invitati a tenere una lezione in una scuola in cui siamo stati tempo addietro docenti o di cui siamo stati presidi. Vivendo in un paese islamico ed essendo vivamente interessato a capire il mondo detto arabo e a interagire, per quanto mi riesca, con esso, ho sentito successivamente il bisogno di occuparmene quando ho visto la reazione, talora violenta, che le sue parole hanno suscitato. E sono andato per prima cosa alla fonte: cioè a leggere il discorso di Ratzinger nel testo integrale.
Se ho capito bene, allo scopo di favorire il dialogo con altre culture (compresa quella laica) e religioni (compresi i non credenti), allo stesso tempo però definendo le diverse identità di partenza, il Papa sta facendo uno sforzo immane per stabilire una comunicazione tra la fede e la ragione, arrivando a confutare i suoi predecessori dei vari sillabi (Pio IX, Pio X). Non solo salva tutto quello che è derivato dal cartesianesimo all'illuminismo, ma arriva perfino a riconoscere l'evoluzionismo, solo aggiungendovi che esso è (stato) guidato dalla mano di Dio. Credo onestamente che non si possa pretendere di più da un Papa.

Per quanto riguarda l'Islam:
1. egli parte dal dialogo vecchio di sei secoli tra Manuele II Paleologo e il suo dotto interlocutore persiano (persiano significa non arabo, e molto probabilmente sciita);
2. accenna ad una contraddizione, non sviluppata nel discorso, tra la sura 2 che dice una cosa e altre sure che sembrano dire il contrario. Questa contraddizione, che non riguarda solo l'argomento in questione (libertà di fede e guerra santa), ma molte altre tematiche presenti nel Corano, non è per nulla negata dagli studiosi islamici, che la spiegano col fatto che il Corano è stato inviato da Allah in fasi successive, ognuna perfezionando la precedente. Parlano addirittura di versi correttivi o espuntivi e di versi corretti o espunti. Il Corano, per i musulmani, è una riproduzione, nel breve tempo della sua "discesa", dell'evoluzione-perfezionamento nel lungo tempo storico che va dalla Torah di Mosè ai profeti all'Ingìl (il Vangelo) di Gesù fino a Mohamed, l'ultimo e definitivo messaggero di Dio;
3. riporta, apparentemente senza contraddirla, ma invero realizzandola alla luce della soggettività e del vissuto storico, la battuta "brusca" dell'imperatore bizantino "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava";
4. sul presupposto che Manuele II avesse ragione, il Papa sviluppa - facendo un lungo excursus sul processo che va dalla filosofia greca a quella contemporanea, caratterizzato da tre successive "dis-ellenizzazioni" - la sua tesi per cui "non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio";
5. conclude che poiché il connubio tra ragione e fede nell'Islam è reso impraticabile dall' "assoluta" ed "esagerata" trascendenza di Allah ("La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza") - rischio, questo, che anche il Cristianesimo ha corso con Duns Scoto, che fa il paio con il quasi contemporaneo teologo musulmano Ibn Hazn -, il dialogo da questa posizione cristiano-occidentale (di un Cristianesimo che ha storicamente voltato le spalle all'Oriente rivolgendosi verso Occidente e "creando" l'Europa) con l'Islam è difficile;
6. addirittura diventa impossibile (non solo con l'Islam, ma con tutte le "culture profondamente religiose del mondo") per colpa nostra, se pretendiamo escludere il divino dall'universalità della ragione;
7. è a questo punto che la scienza deve cedere il passo alla filosofia e alla teologia, che sono "altri livelli e modi di pensare".

L'invito animoso rivolto da più parti del mondo islamico accademico al Papa di parlare dell'Islam solo dopo averlo studiato avrebbe (avuto) un senso se rivolto a qualche altro Papa, non certo al Prof. Ratzinger la cui profondità dottrinale e il cui scrupolo non sono inferiori a nessuno dei papi che abbiamo conosciuto nell'ultimo mezzo secolo, e fa intravedere una superficialità di lettura ed una scarsa attenzione al discorso dell'interlocutore non musulmano. Mette in luce un nervo scoperto della sensibilità musulmana che non accetta nessuno sguardo "altro" sui fondamenti dell'Islam sulla base di un Corano che pure dà, ad esempio, di Cristo un'interpretazione teologica affatto difforme da quella della Chiesa (vedi la morte "presunta" sulla croce, la sua non divinità, la sua predizione sul venturo Maometto) e che antichissimi Concili hanno bollata come eretica. Questo non fa che dare ragione al Papa!
Il Papa ha avuto tuttavia un torto: quello di non considerare in nessun punto del suo discorso la valenza spirituale, direi ascetica, della "jihad", limitandosi a quella della violenza e della guerra, che era comunque il tema della sua lezione. Perché la "jihad" di cui ha conoscenza Manuele II, ossia la guerra santa condotta dai Musulmani contro il suo impero bizantino cristiano (ma anche fra gruppi e gruppi musulmani nel corso dei secoli!) è certamente esistita (né più né meno di quella speculare condotta durante otto crociate dai Cristiani contro i Musulmani, e poi subdolamente dall'Occidente sul Medio Oriente nel corso del colonialismo), e trova una sua codificazione in precisi versetti del Corano, e viene oggi riportata in auge da gruppi fondamentalisti per dare una base giuridico-etica alle loro proposte e attività terroristiche (condotte anche contro dei loro!).
In termini strettamente religiosi, e non politico-militari, la jihad è una strenua battaglia che il credente ingaggia con se stesso per tutta la vita al fine di purificarsi e di avvicinarsi all'Assoluto. La si può intendere come una sorta di monachesimo, esperienza che il Cristianesimo ha ben conosciuto, e che - Templari a parte - è sempre stata nel senso del servizio e dell'elevazione verso Dio. Spesso è (stata) praticata dai sufi, che poi il popolo ricorda e venera nei marabù, che punteggiano tanto spazio fisico e culturale del mondo islamico. È, questa, una jihad che fa meno rumore, e di cui si parla pochissimo, se non addirittura si ignora del tutto, perché è meno "fotogenica" della guerra e delle proclamazioni bellicose. Ed è, invece, per l'idea che me ne sono fatta, un tratto altissimo della spiritualità islamica, che offrirebbe un vastissimo terreno di profonda intesa dialogica e di intensa pratica comune fra il Cristianesimo e l'Islam.
Il Papa è troppo coinvolto nella storia del pensiero occidentale: cerca con esso la base per l'intesa e il dialogo, e individua questa base nel "logos" (la ragione). In altre parole, laicizza da parte sua la spiritualità e chiede nel contempo ai suoi interlocutori occidentali laici di includere la spiritualità nel loro orizzonte culturale. Niente male, anzi! Ma poi pretende la stessa cosa anche da chi non può dargliela. Il volere per forza cercare il dialogo laddove le diversità sono troppo forti da renderlo difficile mi sembra un alibi per non farlo dando la colpa all'altro. Ma l'altro non può farlo per la stessa diversità che è opposta a lui! E poi, non ha insegnato il Cristo, proprio facendo un discorso sulla violenza, di non chiedere, ma solo di dare, e di dare in sovrappiù? "Se uno ti dà uno schiaffo, tu porgigli anche l'altra guancia; se ti costringe di accompagnarlo per un miglio, tu fanne con lui altri due; se ti prende la tunica, dagli anche il mantello".

* Dirigente scolastico incaricato dell'insegnamento italiano a Tunisi

 

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