Pubblicato su politicadomani Num 61/62 - Set/Ott 2006

XXI secolo
Il prezzo della guerra al terrore
La guerra è terrorismo. Ecco perché l'espressione "guerra al terrorismo" è una contraddizione in termini il cui prezzo è milioni di vittime

di Damiano Sansosti

Nelle guerre combattute dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi traspare tutta l'inutilità della violenza. Alla vanità della potenza militare degli Stati si contrappone e cresce sempre più la condanna della comunità civile nei confronti delle uccisioni preventive e indiscriminate di un numero sempre più grande di persone innocenti e dell'interminabile schiera di feriti e mutilati di guerra.
Soltanto in Vietnam le bombe statunitensi hanno ucciso più di un milione di civili. E solo molto tempo dopo la fine della guerra è stato possibile ottenere le prove della manipolazione dell'intelligence americana del famoso "incidente del Golfo del Tonkino" che fornì il pretesto agli Stati Uniti per scatenare la guerra. La futilità dei pretesti per queste ultime guerre in Afghanistan e in Iraq - al Qaeda e le armi di distruzione di massa - è stata svelata molto prima. Ma quanto bisognerà attendere ancora per andare via dall'Iraq e dall'Afghanistan?
Il totale delle vittime degli attacchi "terroristici" di tutto il mondo nel XX e nel XXI secolo non raggiunge la cifra di vittime civili provocate nel solo conflitto in Vietnam.

È nel novembre 2002 che William Odom, ex generale dell'esercito Usa, nel programma televisivo "Washington Journal", ha inquadrato il problema del "terrorismo globale": "Non vinceremo la guerra al terrorismo. E ciò incrementerà la paura. Gli atti di terrore non hanno mai fatto cadere le democrazie liberali. Gli atti parlamentari ne hanno conclusa qualcuna".
Nel novembre del 2001, il portavoce del Dipartimento di Stato USA Richard Boucher chiarì, di fronte ai media di tutto il mondo, il nuovo concetto di "terrorismo globale" coniato dal presidente Bush subito dopo l'attacco alle Torri: "Il Presidente ha dichiarato che gli Stati Uniti sono impegnati in una guerra contro il flagello del terrorismo. Non ci fermeremo fino a che ogni singolo gruppo terrorista che minaccia gli Stati Uniti, i nostri cittadini, i nostri interessi, i nostri amici e i nostri alleati non sarà stato rimosso. Come ha detto il nostro Presidente, questa sarà una campagna molto lunga".
L'11 settembre del 2001 si era consumato sotto gli occhi del mondo un evento che avrebbe legittimato gli Stati Uniti ad usare la forza militare, in nome dell'azione preventiva, fuori del diritto internazionale e in opposizione alla politica delle Nazioni Unite, obbligando queste ultime con la forza del ricatto ad avallare le sue decisioni. Questa strategia ha generato di fatto un nuovo protocollo di guerra.
Dal 2001 ad oggi l'Amministrazione Bush ha formalmente dichiarato guerra a centinaia di organizzazioni "terroriste" sparse in tutto il mondo. Ha aperto però veri e propri fronti di guerra, con o senza l'appoggio dell'Onu, soltanto in Iraq e in Afghanistan.

Afghanistan
L'Afghanistan, maggior produttore di oppio al mondo, ormai da cinque anni è devastato dalla guerra al terrore scatenata da Bush alla ricerca senza successo di un Osama Bin Laden sempre più evanescente.
Stato strategico per i gasdotti e i corridoi commerciali che lo attraversano e che lo collegano al Pakistan e all'India - ambedue alleati degli USA - in seguito ai bombardamenti dell'aviazione americana l'Afghanistan è divenuto uno dei Paesi con il più alto numero di mine sparse sul suo territorio. Secondo i dati della Ong britannica "Halo Trust" soltanto tra l'ottobre 2001 e il marzo 2002 le forze aeree Usa hanno sganciato sull'Afghanistan qualcosa come 250 mila "cluster bomb", la maggior parte delle quali rimaste inesplose. Lo stillicidio continua: i bombardamenti, sono bombe da 500 libre, colpiscono i villaggi in cui si pensa vi siano dei talebani, senza distinguere tra civili e combattenti. Dopo il raid aereo, intervengono forze speciali per rastrellare il villaggio, alla ricerca dei talebani superstiti. Le pattuglie si portano dietro una scorta di kalashnikov, sequestrati in altre occasioni, che depongono accanto ai cadaveri dei civili. Basta quindi una foto ed ecco che i morti, nel rapporto, diventano talebani e la missione è compiuta. [Fonte: www.peacereporter.net]
Il sistema è una invenzione degli USA per dimostrare la legittimità dei loro interventi e giustificare i "danni collaterali" di cui sono accusati da quei giornalisti, ormai pochi, che ancora sono in grado di documentare l'orrore della guerra. Ora però anche britannici e canadesi hanno iniziato a fare lo stesso. Una pratica che si sta rivelando strategicamente controproducente perché, senza circoscrivere il problema del terrorismo, continua piuttosto ad istigarlo. La popolazione locale, che mai in passato aveva appoggiato i talebani, ora preferisce combattere con loro, per vendetta, o semplicemente perché tanto vale morire in battaglia.
Il sostegno della CIA ai militanti afgani durante gli anni '80, in funzione antisovietica, è stato strumentale alla formazione stessa di al Qaeda. La CIA l'ha definito un "blowback", un contraccolpo, del quale gli attacchi alle Torri sono la conseguenza. La CIA ritiene che anche l'attuale guerra in Iraq genererà un contraccolpo, ancora più violento e più lungo di quello provocato in Afghanistan.

Iraq
In Iraq, tre anni di guerra - iniziati con gli "shock-and-awe", i bombardamenti "colpisci e terrorizza" e proseguiti quotidianamente con disumana violenza dagli Stati Uniti, nell'obiettivo di instaurare la libertà e la democrazia dopo la caduta di Saddam Hussein - sono stati un totale fallimento. Anche in Iraq la strategia statunitense della guerra al terrore ha generato l'ostilità, sempre più grande, della popolazione irachena nei confronti degli eserciti stranieri. La guerra civile innescata dall'intervento militare, prevista e temuta da più parti, è indice del quotidiano peggioramento delle relazioni tra i diversi gruppi etnici e religiosi del paese. Un paese, come tanti, costruito a partire dalla caduta dell'Impero Ottomano alla fine della Seconda Guerra Mondiale, con squadra e righello, senza tenere conto delle profonde diversità dei gruppi che veniva ad unire.

 

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