Pubblicato su politicadomani Num 61/62 - Set/Ott 2006

Nuovo intervento in Medioriente
Missione italiana in Libano: pace, prestigio, lavoro e soldi
Nell'operazione Leonte l'impegno di uomini e di risorse finanziarie non è solo al servizio della pace, ci sono anche prospettive di un importante ritorno economico

di Maria Mezzina

Tremila militari italiani, cinque unità navali e una portaerei, 220 milioni di euro è l'investimento italiano in Libano fino a dicembre. Poi, nel 2007, quando sarà l'Italia ad assumere il comando dell'UNIFIL, la forza di interposizione dell’ONU, i costi previsti per l'operazione Leonte saranno di circa 600 milioni di euro.
Il più importante dispiegamento di uomini e risorse economiche a partire dal 1945, in una delle missioni più difficili e più cariche di imprevisti, la cui fine potrebbe essere anche molto, molto lontana.
L'operazione nella quale ci siamo impegnati potrebbe essere un doloroso fallimento e lo sforzo economico non sembra sostenibile nel lungo periodo. Eppure ad essere convinti di questa missione sono tutte le componenti politiche e sociali del paese.
Giocano a favore del nostro intervento motivi di prestigio internazionale e ragioni legate al ruolo dell'Europa sullo scenario mondiale e alla riaffermazione dell'autorità dell'ONU, negli ultimi tempi troppo spesso svilita. Andare infatti in Medioriente in missione di pace, in una situazione che vede come attori non solo Israele e Libano, ma anche il popolo palestinese, la Siria e l'Iran, e tentare di risolvere conflitti e tensioni in stile "europeo" potrebbe essere l'inizio del superamento della politica della guerra totale stile USA iniziata l'11 settembre di cinque anni fa.
Rilevanti sono anche le ragioni economiche, perché un simile sforzo di uomini, mezzi e capitali avrà - come accade in seguito ad ogni guerra, cinicamente ma inevitabilmente - il suo ritorno economico. C'è infatti alla conclusione di ogni guerra tutto un fervore e un fiorire di attività necessarie per la ricostruzione del paese, e i benefici economici, politici e strategici di questa ricostruzione vanno soprattutto a favore di coloro che per primi sono accorsi sullo scenario del conflitto in veste di portatori di pace e di aiuti per la popolazione.
In questa guerra il Libano ha pagato un prezzo altissimo: 1300 morti, di cui oltre un terzo bambini, 4000 feriti, un milione di sfollati pari a un quarto dell'intera popolazione. Gli impianti energetici colpiti hanno riversato in mare fiumi di petrolio: ben 15.000 tonnellate di liquido nero sgorgate dal solo impianto elettrico di Jiyyeh hanno inquinato almeno 140 km di costa con un danno ambientale di proporzioni gigantesche. Gli oltre 100.000 colpi di mortaio e le 12.000 incursioni aeree israeliane hanno distrutto 145 ponti e sottopassaggi, 600 strade, 32 impianti di gas, 15.000 abitazioni e molti impianti idrici. Sul terreno sono rimaste migliaia di bombe inesplose, residuo di quelle "cluster bombs", vietate dalle convenzioni internazionali e, ciononostante, usate. Gli obiettivi dei bombardamenti israeliani sono state le vie di comunicazione (ponti e strade), gli impianti energetici (petrolio e gas), le infrastrutture civili (impianti idrici, cisterne, pompe di carburante, supermercati) e le abitazioni. Il danno complessivo stimato è di 6 miliardi di dollari.
Rimuovere le macerie dalle strade e dalle zone residenziali, bonificare il terreno, ricostruire ponti e vie di comunicazione, infrastrutture, case e alberghi, riattivare gli impianti energetici e le reti di distribuzione dell'acqua, della elettricità e delle telecomunicazioni; occorreranno almeno 3,5 miliardi di dollari e almeno sei anni solo per tornare alla normalità.
Chi pagherà tutto ciò?
La comunità internazionale si sta muovendo e finora la cifra messa a disposizione per i primi interventi è di 2 miliardi di dollari: c'è uno stanziamento di 940 milioni di dollari che, con quelli disposti già prima della guerra, diventano 1,2 miliardi, e aiuti per 500 e 300 milioni di dollari, rispettivamente, da Arabia Saudita e Kwait, paesi che hanno anche disposto il deposito di 1 miliardo e 500 milioni di dollari nella banca nazionale di Beirut, per difendere il valore della lira libanese.
Siamo ancora lontani dai 3,5 miliardi di dollari necessari, ma occorre tenere presente un altro fattore che gioca sempre un ruolo decisivo in qualsiasi ricostruzione: il fattore umano.
Beirut è la prima città del Medio Oriente in termini di qualità delle risorse umane disponibili, con le sue (prima della guerra) 41 università e 377 scuole tecniche rinomate a livello internazionale, e la presenza del maggior numero di laureati fra tutte le città mediorientali. La Banca Mondiale, in un'analisi sulla economia libanese negli anni dal 1997 al 2005, riconosce al paese importanti punti di forza: l'alto spirito d'impresa, la posizione geografica strategica, la capacità di assorbire colpi, l'economia libera, la libertà di espressione, il moderno sistema finanziario. Si aggiunga, poi, a tutto ciò il fatto che, grazie alle loro capacità imprenditoriali e commerciali note in tutto il mondo, i libanesi hanno creato una fitta e vasta rete di contatti internazionali, che può contare su 15 milioni di emigrati sparsi in tutti i continenti, in posizioni di responsabilità e di comando, e appare chiaro come la presenza dell'Italia e la riuscita dell'operazione Leonte apra prospettive di vantaggi economici non indifferenti.

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