Pubblicato su politicadomani Num 61/62 - Set/Ott 2006

Non solo Telecom
Il made in Italy se ne va
Toscano di nome ma non di fatto. L'olio Carapelli passa agli spagnoli del gruppo Sos Cuetrera, già proprietario del celebre Olio Sasso

di Valerio David

Carapelli, marchio storico dell'industria alimentare italiana e protagonista di un settore - quello dell'olio d'oliva - così radicato nella cultura alimentare del nostro Paese, passa nelle mani dell'imprenditore spagnolo Jesus Salazar.
Il 100% di "Carapelli Firenze" - fino ad ora dei fondi Bs Private Equity, Arca Impresa Gestioni SGR e Mps Venture, che avevano rilevato la storica azienda toscana nel giugno 2002 da Cereol, braccio alimentare dell'allora gruppo Montedison voluto da Raul Gardini - passa a gruppi stranieri. A comprare è Minerva Oli, società che già detiene nel suo portafoglio il celebre Olio Sasso (ex Nestlè, ex Buitoni) e holding operativa in Italia del gruppo spagnolo Sos Cuetera il quale è attivo, oltre che nel settore dell'olio, anche nei comparti del riso e dei biscotti.
Il valore dell'operazione è stato di 132,4 milioni di euro, al lordo dei costi legati alla transazione e salvo eventuali aggiustamenti. La cifra assicurerebbe agli attuali soci una sostanziosa plusvalenza visto che il capitale investito nella società fiorentina tre anni fa, al netto del debito, era stato di 52 milioni.
Dopo Bertolli, Sasso, Buitoni, Perugina, Galbani, Locatelli, Invernizzi, Cademartori, Fiorucci, dopo alcuni brand del gruppo Cirio, dopo acque minerali (San Pellegrino e molte altre), birre, gelati - marchi che hanno contribuito non poco a diffondere il made in Italy nel mondo - anche Carapelli finisce così in mani straniere.
Da oggi questo marchio servirà al gruppo di Salazar per distribuire la produzione spagnola laddove il made in Italy ha, o aveva, una grande credibilità.
Viene da chiedersi perché marchi come Carapelli, o Bertolli, non abbiano trovato in Italia un acquirente in grado di costruire un polo dell'olio d'oliva. Il comparto è sempre più importante per la crescente domanda mondiale e in esso nei prossimi anni si inseriranno anche i produttori australiani (in Gran Bretagna lo hanno già fatto), i quali hanno già mostrato come il sistema Paese è stato in grado, in pochi anni, di sconvolgere il mercato del vino. Carapelli non ha mai prodotto oli di qualità eccelsa, ma è riuscita ad affermarsi come label, a differenza dei tanti piccoli produttori in grado di mettere sullo scaffale eccellenti oli extravergine ma non di poter sostenere la domanda nonché gli investimenti necessari all'esportazione. Tra l'altro in un settore dove non dobbiamo dipendere dalle importazioni di materia prima, come succede per l'industria della pasta, del caffè o del cioccolato.
È una magra consolazione leggere nei sondaggi che i turisti di ogni provenienza scelgano l'Italia soprattutto per il cibo: quando essi fanno ritorno nei loro Paesi negli scaffali dei loro negozi trovano salumi, pasta, olio, formaggi con nomi italiani (regianito, provolone, mozzarella e via dicendo) ma con scritto in piccolo la provenienza locale. Nonostante il cibo italiano sia sempre ai primi posti nelle graduatorie di preferenza. Il comparto alimentare ha via via perso peso a livello internazionale, anche per mancanza di imprenditorialità.
Esiste tuttavia in tutta la penisola una grande "colonia" di piccoli e medi produttori di grande qualità che sono una nicchia, loro si, pronti a diventare mercato. Le ridotte dimensioni non permettono però loro di affrontare il mercato globale; non sono in grado di sopportare i costi per l'export: la promozione, il servizio, le reti di vendita. Sarebbe necessario un supporto nazionale, così come per anni hanno fatto la Sopexa francese o l'Incex spagnola, piuttosto che viaggi inutili, costosi e non coordinati da parte dei nostri assessori regionali, provinciali e comunali di turismo e agricoltura in Paesi dove magari sono in atto quote o vi è l'impossibilità di export dei prodotti.
Il canale più importante resta quello dei ristoranti italiani nel mondo, anche se purtroppo i locali con bandierina tricolore molto spesso non usano prodotti made in Italy. I gestori sostengono di non trovarli sul mercato locale, altri dicono di ricevere solo prodotti scadenti, che sono ben distribuiti, altri ancora preferiscono i surrogati locali per spendere meno. Chissà perché, intanto, in Italia arriva di tutto: dalla Francia, dalla Germania, dalla Spagna, persino dal Cile e dall'Argentina.
Siamo meno esigenti o i concorrenti sono più efficienti?

 

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