Pubblicato su politicadomani Num 61/62 - Set/Ott 2006

La guerra asimmetrica

 

Gli analisti militari contemporanei parlano del terrorismo come di "una guerra asimmetrica". Ma il genere di violenza che va sotto il nome di "terrorismo" è un metodo di lotta antico: Robespierre fu il capo della rivoluzione francese e del terrore rosso; all'inizio del XIX secolo veniva chiamata "guerra di guerriglia" la tattica dei combattenti spagnoli che abbandonavano le uniformi ed evitavano scontri formali (e frontali) con l'esercito di Napoleone per colpirlo poi con azioni informali. Per tutto il XIX secolo furono chiamati terroristi tutti i rivoluzionari nemici delle corti monarchiche europee: erano terroristi i rivoluzionari russi che combatterono lo Zar; i 92 membri della Comune che governarono Parigi nella primavera del 1871; anche le bande in camicia nera che battevano le strade dell'Italia e della Germania a partire dagli anni '30 in Inghilterra erano chiamate "terroristi di strada".
Un'altra parte della popolazione però vedeva in questi terroristi dei "combattenti per la libertà".
L'analisi della parola "terrorismo" non riuscirà quindi mai a dare una definizione univoca di cosa esso effettivamente sia, perché i significati cambiano a seconda della posizione dell'osservatore. Menachem Begin era un "terrorista" per i governanti coloniali inglesi della Palestina e un "combattente per la libertà" per i sionisti, che rivendicavano il diritto alla formazione di uno Stato ebraico. Nelson Mandela, che sosteneva il rovesciamento del regime dell'apartheid in Sudafrica, era un "terrorista" per Margaret Thatcher e un "combattente per la libertà" per Tony Blair. Lo stesso George Washington venne considerato un "terrorista" dalla corte inglese di Giorgio III e un "patriota" dagli americani.

 

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