Pubblicato su politicadomani Num 61/62 - Set/Ott 2006

Responsabilità e finanze
L'etica del mercato del M&A
Merger & acquisition (fusioni e acquisizioni) sono operazioni di mercato con aspetti moralmente apprezzabili e aspetti riprovevoli

di R.C.

Le perplessità e i dubbi "tecnici" circa la fondatezza economica di alcune ragioni che vengono addotte quando si compiono operazioni di finanza straordinaria, non riguardano solo le fusioni bancarie, bensì a tutto il mercato del Merger&Acquisition a prescindere dal settore di appartenenza. Esistono infatti molte questioni cruciali direttamente connesse con l'etica del mercato per il controllo societario, oltre a quelle che riguardano gli aspetti puramente economico-finanziario di queste operazioni.
Il controllo di un'impresa, infatti, rappresenta un potere - e quindi una responsabilità - assai maggiore che non il semplice possesso delle azioni. Allo stesso modo, diviene importante anche l'uso che di tale potere si vuol fare. E, quindi, ai fini di effettuare una valutazione completa delle operazioni straordinarie, è necessario tenere conto innanzitutto della rettitudine delle intenzioni che animano gli operatori di questo particolare mercato.
L'intenzione retta che possiamo rappresentare come lo stato mentale di trasparenza e tensione specifica ad obiettivi di efficienza, può essere ricondotta in estrema sintesi al proposito di migliorare la gestione dell'impresa acquisita e di creare valore distribuibile a tutti i rischioesposti più generalmente conosciuti sotto il nome di stakeholder.
Tale impostazione mentale implica che l'integrazione deve comportare aspetti di etica positiva e di etica negativa.
Sotto il primo aspetto, quello positivo che comporta l'impegno di fare, si possono individuare:
a) la realizzazione di sinergie;
b) l'aumento della produttività di entrambe le imprese attraverso sistemi innovativi;
c) l'aumento dell'efficienza allocativa delle risorse gestibili.
Sotto il secondo aspetto quello di etica negativa ossia il divieto di fare oppure ciò che la decisione non deve comportare, si può individuare:
a) l'impoverimento della società acquisita;
b) la vendita in pezzi dell'acquisita (il cosiddetto spezzatino);
c) il perseguimento di lucro esclusivamente di breve termine (speculazione);
d) la ricerca di profitti strumentali legata ad interessi di parte ed egoistici, non rispondenti alla vocazione sociale dell'impresa.
Il fatto che in linea teorica si possa considerare valida l'opinione che le operazioni straordinarie possano stimolare l'entusiasmo manageriale mirato ad una maggiore efficienza, che ne accresca la competitività sul mercato, a prescindere che l'attuazione poi non sempre riesce, ciò non significa che questo ragionamento possa giustificare tutte le conseguenze che i "matrimoni" tra imprese comportano.
Spesso, infatti, dietro il fenomeno dei merger stanno motivazioni e interessi che con l'etica non hanno nulla a che vedere e che si possono riassumere in un termine: l'avidità o meglio come dice la Dottrina Sociale della Chiesa al punto 37 della Sollicitudo Rei Socialis, la "brama di profitto e la sete di potere".
Valga un esempio: se un'impresa con forti prospettive di crescita ne acquisisce una con basse prospettive di crescita, con quale altra ragione si può giustificare una simile operazione, se non con la mera intenzione di conseguire guadagni speculativi a breve termine? Ancora: se dopo un'acquisizione si avvia un piano di ristrutturazione basato in prevalenza sulla vendita degli asset dell'acquisita e sui tagli ai posti di lavoro, come non pensare che questa sia stata la motivazione reale per l'operazione? Oppure: se un'impresa ne acquisisce un'altra indebitandosi e poi ripaga il debito smembrando l'acquisita (c.d. leveraged buy-out), che peso possono avere le dichiarazioni dei nuovi proprietari sulla presunta maggior massa critica o sulla maggiore competitività raggiunta?
La risposta è che queste giustificazioni e queste azioni non hanno nessun legame con la crescita di lungo termine e con il ruolo di creazione di benessere e sviluppo che l'impresa, in quanto istituzione di interesse sociale, dovrebbe avere. Al contrario, sono legate a interessi egoistici che privilegiano alcuni - come quelli che io chiamo rischioapportatori (Stockholder) quali i manager e gli azionisti di maggioranza - a scapito di altri, più deboli nella catena che io chiamo rischioesposti (Stakeholder): come i dipendenti che subiscono licenziamenti, cassa integrazione, mobilità, riduzione; oppure i consumatori che si vedono raggirati da campagne di marketing strumentali; i fornitori che subiscono la rottura del rapporto, che può determinarne anche il fallimento. Con il risultato infine, complessivamente, di un depauperamento del bene comune, se consideriamo poi che dietro ognuna di queste figure ci sono uomini, ci sono persone e soprattutto famiglie con tutto quello che comporta.
Tali realtà possono essere a ragione configurate come strutture di peccato in quanto non rispondono ai bisogni dei più deboli e dei meno avvantaggiati e non traggono origine dalla volontà di dare lavoro o sostenere le attività degli stakeholder, i quali invece da una fusione di solito, tranne che in rare eccezioni che sinceramente non saprei qui citare, non ottengono nessun beneficio.
Da ciò si evince che le operazioni straordinarie possono esasperare il mercato suscitando perplessità ed aspetti comportamentali riconducibili a molteplici problemi di natura etica. Le questioni etiche afferenti alle operazioni in parola sono quindi riassumibili nei seguenti tre punti:
1) la trasparenza del mercato;
2) la simmetria di informazione;
3) la tutela dei diritti delle persone.
I problemi etici del mercato per il controllo societario riguardano allora, nello specifico, prassi comportamentali non sempre chiare e lineari.
È tale il finanziamento dell'acquisizione tramite l'emissione di obbligazioni fortemente rischiose (c.d. junk bond), senza informare in modo trasparente e corretto i sottoscrittori sull'effettiva solvibilità dell'impresa (quindi a danno dei risparmiatori meno informati). Quando non si facciano prestiti strumentali come avvenne per i c.d. "furbetti del quartierino".
Un altro problema, piuttosto comune - se ripensiamo alle intercettazioni avvenute nel luglio scorso a proposito di acquisizioni e fusioni bancarie, senza arrivare all'odierno problema della Telecom Italia - deriva dalla corruzione del management uscente tramite l'attribuzione di premi e altri benefici (come le stock option), oppure dall'attribuzione di consulenze milionarie ad amici, oppure dalla ricerca del consenso politico col fine di garantirsi l'appoggio all'operazione in sede di assemblea straordinaria degli azionisti.
Contraria all'etica è anche la stipulazione, da parte degli amministratori di una società potenziale target, di accordi con il management di un'altra società potenziale acquirente, affinché quest'ultima presenti un'offerta "amichevole" in antitesi all'offerta presentata da una terza società.
Un'altra prassi poco etica da considerare è la gestione cinica delle risorse umane nel periodo post-merger, quando, per conseguire i risparmi di costi, si procede al taglio dei posti di lavoro e all'annullamento o alla rinegoziazione dei rapporti di lavoro e di altri contratti aziendali, senza il minimo rispetto per i diritti, i bisogni e le richieste avanzate dai dipendenti e dagli altri stakeholder. Oppure quando si procede alla cessione di rami d'azienda in cui persone e strumenti e organizzazione vengono ceduti senza che gli interessati possano esprimere alcun consenso, pena la chiusura e quindi la sparizione del posto di lavoro.
Le ultime situazioni che comportano responsabilità etiche sono l'adozione dei cosiddetti provvedimenti antisqualo, poison pill e altre tecniche di difesa contro una possibile scalata ostile, che spesso vanno a ridurre il valore del capital gain conseguibile dagli azionisti (i quali, per via della loro disinformazione, spesso votano a favore di tali provvedimenti e contro il loro stesso interesse). Inoltre, qualora queste manovre diventano una vera e propria strategia di difesa dei vertici aziendali dalle offerte ostili, accade di solito che questo avviene non solo per ottenere dallo scalatore un prezzo maggiore a vantaggio di tutti gli azionisti, ma anche per innalzare il livello dei c.d. golden parachute (una sorta di via d'uscita dorata) che il potenziale acquirente dovrà offrire al management uscente per guadagnarsene l'appoggio (management che è così in conflitto d'interessi).
Ed infine, ma non ultima, contraria all'etica è la prassi dell'acquisizione di un'impresa effettuata al fine di ridurre la concorrenza su un particolare mercato e, al limite, per conseguire il monopolio di quel particolare settore oppure nella nicchia di mercato specifico.
Per concludere vorrei ribadire che l'etica purtroppo non si compra e non si acquisisce con una fusione, ma si comprende e si consolida soltanto con un percorso di coscientizzazione un percorso basato sulla competenza professionale, sulla coscienza etica, sulla trasparenza e infine sulla censura sociale.

 

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