Pubblicato su politicadomani Num 61/62 - Set/Ott 2006

Cinema
I desaparecidos di Marco Bechis
"Garage Olimpo", quando l'Argentina stava in un sotterraneo...

di Claudio Ferrante

"Alle dieci del mattino ero una donna felicemente sposata e con due figli. Due ore dopo ero fuori dal mondo, piombata all'inferno." È questa la confessione di una sopravvissuta di origine italiana alle torture dell'esercito argentino durante la dittatura dei generali (1976-1982). I desaparecidos in Argentina sarebbero 30.000. La cifra è solo approssimativa perché le stime sono discordanti. 500 i bambini partoriti nei campi di concentramento, resi subito dopo orfani e affidati a coppie sterili vicine al regime. Una situazione che suscita inquietanti interrogativi perché, in alcuni casi i bambini sono stati amorevolmente accolti e sono diventati "figli" dei torturatori e degli assassini dei loro genitori naturali. Una pratica, questa, che è chiamata degli "Apropriadores".
"Garage Olimpo"(1999), del regista Mauro Bechis, descrive in stile documentaristico alcuni fatti avvenuti in uno dei 340 lager dislocati sul territorio o come, in questo caso, nei sotterranei del "Paese dell'argento". Gli episodi del film hanno una forte valenza simbolica: come nella scena della benda posta sul viso dei prigionieri, che essi non possono nemmeno toccare, un ostacolo alla loro capacità di relazione per farli sentire, così privati della vista, ancora più isolati e per rendere la loro sofferenza ancora più acuta e costringerli a riflettere sulla loro debolezza di fronte al potere. O come nel caso della "Picana": un accumulatore di corrente per l'emissione di scosse a basso voltaggio usato per estorcere confessioni, che viene fatto riparare da uno dei prigionieri rapiti per renderlo in un certo senso complice della tortura e provocare in lui un profondo dramma personale nel quale egli sente di offendere se stesso e di violare i suoi principi. La musichetta banale trasmessa continuamente per radio, e che suona come una beffa, copre le urla della tortura. Una musica che sale attraverso le griglie fognarie e si diffonde per le strade della capitale. Il regista sceglie di riprendere dall'alto l'atmosfera della città, con il suo muoversi lento e silenzioso; il sonoro non riporta i rumori, ma solo quella musica che nessuno sente e che è il simbolo della sordità di un popolo che non vuole sapere. La vita scorre apparentemente senza dolore, come in una finzione. L'Argentina vera, quella che vive il dolore della sua condizione di paese umiliato e ferito, si trova nei sotterranei, nel garage Olimpo.
I dialoghi sono essenziali e l'effetto visivo di luci e colori comunicano una fragile intensità e aiutano nella concentrazione chi guarda facendolo scivolare, a un certo punto, in una sorta di sindrome di Stoccolma da pellicola. Il regista ha cercato di ricreare, nella sceneggiatura, le stesse condizioni di allora, usando perfino abiti appartenuti alle vittime e oggetti personalmente forniti da alcuni sopravvissuti, in modo da sottoporre anche gli attori ad una pressione psicologica che essi hanno vissuto come responsabilità personale.
È la storia di Maria (Antonella Costa), 18 anni, maestra militante degli analfabeti di una favela. Ella vive un delicato sentimento con Felix (Carlos Echeverria), guardiano notturno di un garage. Arrestata, e portata nel garage Olimpo, Maria scopre che è proprio Felix il suo carceriere che, sotto tortura, dovrà interrogarla. Maria non ha scampo, la sua unica speranza è nel suo carceriere, che cercherà di alleviare come può la sua condizione e che pagherà di persona la sua debolezza.
Maria e Felix sono rispettivamente il popolo e la dittatura. Lei sembra confondere l'amore con la sopravvivenza e la dipendenza forzata da Felix, che vive il potere con senso di colpa. Lei gli si affida e poi si consegna fisicamente a lui, gli si aggrappa e pende dalle sue parole, invece di lasciarsi morire. In Maria c'è tutta l'Argentina che attende di uscire dal garage Olimpo e di rivedere la luce, e perciò è costretta a convivere con la parte malata di sé. Felix sfrutta il suo potere senza ostentarlo, ma ne gusta l'ebbrezza centellinando piacere che esso gli dà. Anche lui attende e forse spera che Maria riesca a sopravvivere e, con lei, anche la sua Argentina abbia la forza e l'orgoglio di resistere a quelli come lui e ai generali.
Il film termina con la scena di un aereo per il trasporto e lo scarico a mare delle vittime desaparecidos, "vaccinate" che dovevano scomparire così. Il volo sul mare è accompagnato dalla canzone "Aurora", cantata da Elvira de Gray's. Dietro rimane il vuoto di una storia che ancora oggi vede impuniti gran parte dei colpevoli.
La "verità" sui desaparecidos venne alla luce per la prima volta alla fine degli anni '70 grazie ad un insegnante e scultore, Adolfo Pérez Esquivel, che fu arrestato e trattenuto per 13 mesi, fu torturato e quindi liberato in seguito a forti pressioni internazionali (fu premio Nobel nel 1980).
Sono ancora molti gli scomparsi di cui si è perduta ogni traccia, e grande e diffusa è l'omertà che circonda la loro scomparsa. C'è bisogno che l'Argentina si scuota e guardi in faccia la sua realtà. Il cinema è il mezzo più diretto per giungere alle menti ed ai cuori, Marco Bechis lo sa, e soprattutto lo sa fare.

 

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