Pubblicato su politicadomani Num 61/62 - Set/Ott 2006

Propaganda e mezzi di informazione
Cambiare il senso delle parole per piegare la storia
Da George Washington a Menachem Begin, da Nelson Mandela ad Arafat: chi per qualcuno è un terrorista per qualcun altro è un combattente per la libertà

di Damiano Sansosti

Se il XX secolo ci ha insegnato qualcosa sul linguaggio è che le parole hanno un enorme potere. Persuadono, incoraggiano e formano coscienze, ma sono anche capaci di portare una nazione verso errori, orrori e catastrofi.
Nel 1980 sul "Christian Science Monitor", giornale americano, fu pubblicato un editoriale dal titolo "Terrori-sta: una pa-rola bomba", nel quale si dimostrava quanto le ideologie e il linguaggio dell'ultimo secolo sa-rebbero poi state funzionali al mero interesse politico: "Terrorista promette di essere una parola polivalente degli anni '80, è un termine che deve essere utilizzato con cura, non solo perché fornisce uno strumento allettante per disprezzare il nemico, ma anche perché è una di quelle parole (come "fuoco!" in un cinema affollato) che crea automaticamente panico e quindi apre la strada ad atti estremi unilaterali".
Gli sforzi dell'Onu per redigere un trattato di antiterrorismo globale sono in fase di stallo dal 1996. La difficoltà sta nel trovare un accordo universale per definire questo termine. Infatti "il concetto di terrorismo si rivela, così, sconfinato. Il terrore può diventare un codice per gli oppositori che mettono in discussione lo status quo ma anche un'accezione multiforme, capace di adattarsi a ideologie tanto diverse tra loro come la militanza islamica, il nazionalismo razzista, l'antiglobalizzazione o le manie imperialistiche degli stati occidentali. Oggi il mondo corre il rischio di accettare l'idea confusa di un conflitto senza fine contro un nemico indefinito", osserva Phil Rees ("A cena con i terroristi", Nuovi Mondi Media Edizioni).
Il significato di "terrorismo" come atto di violenza compiuto da entità non statali compare definitivamente nel linguaggio dei media occidentali quando Francia e Gran Bretagna iniziano a perdere pezzi del loro potere coloniale in Asia durante la seconda guerra mondiale. I gruppi nazionalisti che emergevano in tutta l'Asia venivano definiti terroristi dai media francesi e brittanici. Negli anni '50 questo termine assunse definitivamente il significato di condanna: erano considerati terroristi tutti i movimenti del Terzo Mondo che tentavano di rovesciare i governi coloniali. La confusione nacque allorché molti di essi vinsero poi effettivamente, soprattutto in Africa, le proprie "guerre di liberazione" e andarono così a prendersi, di diritto, il posto loro riservato al Congresso dell'Onu.
Fino al settembre 2001, la definizione "chi per qualcuno è un terrorista per qualcun altro è un combattente per la libertà" fu fatta propria dalla maggior parte dei giornalisti, degli studiosi e dei commentatori, nazionali e internazionali. Essi andarono in giro per il mondo per raccontare i conflitti del XX secolo: nei loro rapporti e nei loro scritti parlavano piuttosto delle azioni, dei nomi, dell'identità politica, del retroterra, della storia in cui agivano i movimenti "terroristici". Dopo l'11 settembre la direzione della Reuters, una delle più importanti agenzie di stampa, che ha giornalisti sparsi in più di 150 paesi e le cui notizie rimbalzano un po' ovunque nelle sedi giornalistiche di tutto il mondo, è stata oggetto di numerose critiche da parte dei media americani per aver mantenuto questa linea. L'11 settembre la BBC World Service - che aveva costruito la sua fama, per decenni ,sull'imparzialità della propria linea editoriale - descrisse gli attacchi al Pentano e al World Trade Center come "attacchi terroristici". Da quel momento quasi tutte le agenzie giornalistiche del mondo occidentale hanno sposato la tesi politica dell'Amministrazione e dei media americani. È nata così una verità mediatica a senso unico. È nato il terrorismo del XXI secolo.

 

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