Pubblicato su politicadomani Num 61/62 - Set/Ott 2006

Call-center: la "stretta"
Lavoratori precari tra "in-bound" e "out-bound"

di F. A.

Il dibattito sull'esatto significato di "lavoro a progetto" si è ufficialmente aperto sin dall'inizio. Il nodo principale stava proprio nel significato da attribuire all'art. 61 del d. lgs. 276 che parla di "progetto o programma di lavoro o fasi di esso", espressione in molti ritengono generica ed equivoca.
Sta di fatto che mentre lo scopo della legge doveva essere quello di evitare abusi nei ricorsi ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa (cosiddetti co.co.co., che in realtà nascondono vere e proprie prestazioni di lavoro subordinato) l'indeterminatezza della norma non ha fatto altro che generare confusione. Solo nel settore dei call center sono 80.000 i lavoratori assunti con contratto a progetto sui 250.000 che operano nel settore (fonte: www.ilsole24ore.it).
E proprio a questo settore è indirizzata la circolare emanata lo scorso giugno dal Ministro del Lavoro, Cesare Damiano, che individua i criteri di valutazione che gli ispettori del lavoro devono adottare nella lettura del fenomeno delle collaborazioni a progetto nei call center.
Secondo il Ministro nelle attività di call center un genuino "progetto o programma di lavoro o fasi di esso" può riferirsi solo alle campagne out bound, quelle cioè in uscita dal call center verso l'utente. In queste campagne il collaboratore deve rendersi attivo nel contattare, per un arco di tempo predeterminato, l'utenza di un prodotto o servizio riconducibile ad un singolo committente. In questo modo il collaboratore può modulare il contenuto della prestazione lavorativa sulla base del risultato oggettivamente individuato dalle parti del contratto.
Diversa è la situazione per le attività in bound, dove cioè l'operatore riceve le telefonate ed è tenuto a fornire adeguate informazioni al cliente. Qui il contenuto concreto della prestazione dipende dal tipo di utenza e dalla imprevedibilità delle esigenze da questa rappresentate. È quindi, inevitabilmente, variabile e dunque non preconfigurabile da parte dell'operatore e il ricorso alle collaborazioni coordinate e continuative in questi ultimi casi risulta improprio. Pertanto gli ispettori che eseguono gli accertamenti - qualora dovessero verificare che i rapporti di lavoro degli operatori in bound è disciplinata da un contratto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto - dovranno procedere, al fine di ricondurre tali attività alla subordinazione, adottando i conseguenti provvedimenti di carattere sanzionatorio e contributivo.
Conseguenza di questa circolare, fanno sapere da Confindustria e dal gruppo Almaviva (leader dei call center in Italia, e proprietaria della famosa Atesina), è che le aziende del settore (in Italia se ne contano 90 mila) che non sono disposte o che non sono in grado di sopportare un inevitabile incremento del costo del lavoro saranno costrette a licenziare o ad alzare le tariffe. Meno possibilista pare essere l'alternativa di una migrazione delle aziende verso Paesi dell'est europeo perché la qualità del servizio sarebbe molto più bassa e i costi subirebbero comunque una lievitazione per corsi di lingua e di formazione.

[Per approfondire: www.csmb.unimo.it]

 

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