Pubblicato su Politica Domani Num 6 - Giugno 2001

Che fine fanno i rifiuti tossici?
C'era una volta l'Africa
In Africa la discarica del mondo "civilizzato"

di Daniele Proietto

Capita, a volte, che nuovi prodotti partoriti nei laboratori di ricerca come coadiuvanti dell'agricoltura vengano poi velocemente ritirati perché riconosciuti nocivi all'ambiente e agli uomini. Il progresso delle conoscenze scientifiche, le normative al passo con esse e i mezzi di comunicazione contribuiscono a farci sentire più protetti e più tutelati. Dimentichiamo però, per colpevole leggerezza e noncuranza, di farci una domanda d'obbligo: dove vanno a finire questi rifiuti altamente nocivi?
Questo la TV non lo dice; questo noi non lo sappiamo.
C'è bisogno del solito scoop, della solita tragedia troppo grave per essere taciuta, perché eventi sconosciuti diventino di dominio pubblico e si scopra una realtà ripugnante. Pesticidi e diserbanti vietati e tolti dal mercato vengono accumulati senza nessun piano di smaltimento, come se il tempo fosse in grado di risolvere il problema, o meglio, come se il problema non esistesse.
Via libera allora per le organizzazioni malavitose, le ecomafie, abilissime nel fiutare forme di guadagno e furbe nel gettarsi in campi nei quali, per la loro novità, ci sono vuoti normativi che rendono la giustizia meno efficace.
Quella dello smaltimento di rifiuti tossici e di scorie radioattive è un'impresa altamente remunerativa che ammonta a 7.000 milioni di dollari all'anno solo in Italia (dal rapporto del 7 maggio 2001 di Massimo Scalìa, Presidente della Commissione investigativa sui rifiuti tossici del Parlamento italiano)
Migliaia di tonnellate di scorie vengono imbarcate in grandi navi che percorrono lunghi viaggi verso le coste africane; viaggi che fruttano, per ciascuna nave, circa 5 milioni di dollari di profitto. A questo punto ci sono tre opzioni per liberarsi della merce:
· immetterla in contenitori speciali e gettarla nei fondali dell'oceano Atlantico;
· affondare le navi, facendo apparire il tutto un tragico incidente;
· scaricare le scorie lungo le coste Africane, poco importa se vicino a campi coltivati o a falde acquifere; per di più in modo del tutto legale, con il permesso cioè (comprato) dei governi locali. Gli abitanti dei villaggi vengono ingaggiati per trasportare i carichi e maneggiare i materiali pericolosi, senza alcuna protezione e ignari del pericolo, e quando qualcuno muore a causa del contatto con tali sostanze, la famiglia del defunto viene convinta a non fare alcuna denuncia in cambio di qualche manciata di dollari.
Risulta evidente che quest'ultima opzione per liberarsi di pesticidi e materiali tossici e radioattivi è di gran lunga quella più conveniente e più difficile da perseguire legalmente. Si aggiunga a ciò la mancanza di sanzioni penali chiare e severe (per crimini di questo genere non esistono pene, ma semplici sanzioni amministrative consistenti in multe irrisorie) e la quadratura del cerchio è compiuta.
Per riuscire ad arrestare i responsabili, spesso si deve ricorrere all'accusa di evasione fiscale. Dal punto di vista dello scopo da conseguire - interrompere i traffici di autorevoli esponenti della ecomafia - la cosa a volte funziona. Dal punto di vista etico però dover subordinare il benessere del pianeta e la salute di milioni di persone alla correttezza fiscale è cosa che fa molta rabbia,
Dal tempo della schiavitù le cose non sembrano gran che cambiate: i paesi ricchi e sviluppati continuano a sfruttare i paesi poveri e più deboli, eufemisticamente detti paesi "in via di sviluppo".
Ma non tutto è rimasto invariato, un cambiamento c'è stato: se prima prendevamo ciò che ci interessava dalle loro terre, ora siamo noi a portare loro qualcosa.

 

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Num 6 Giugno 2001 | politicadomani.it