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I non diritti delle donne di Maria Cristina Conti In Afghanistan è in atto una guerra civile che
da venti anni sta martoriando e affamando la popolazione e che ha radicalmente
mutato la condizione umana e giuridica delle donne. Nel 1996 i Taliban,
esponenti dell'estrema destra fondamentalista islamica, hanno preso
il potere e da allora hanno attuato un governo basato sulla rigida osservanza
delle leggi islamiche, organizzando una milizia religiosa come braccio
del "Ministero per la Promozione della Virtù e la Soppressione del Vizio"
a capo del quale c'è il loro mullah, Mohammed Omar. Il ruolo della donna nelle società musulmane
è al centro di innumerevoli dibattiti. Samia Kouider sociologa algerina,
accusa l'Occidente di portare avanti una visione riduttiva del mondo
islamico. "L'islam e la Shariâa (le leggi coraniche), di cui le fonti
principali sono il Corano e i Hadith (i detti del profeta Muhammad),
non hanno conferito alla donna una posizione più precaria o peggiorativa
rispetto alle altre religioni monoteiste; le società musulmane non sono
più androcratiche di altre, la questione fondamentale da porsi è perché
nel mondo musulmano contemporaneo sono sopravvissuti e sono riproposti
modelli e comportamenti sociali tipici delle cosiddette società premoderne
caratterizzate da una forte gerarchia fra clan e clan, fra tribù e tribù,
fra casta e casta, a fra gruppo e gruppo, fra famiglia e famiglia, fra
uomo e uomo, fra uomo e donna.La problematica è molto complessa e la
sola lettura religiosa è davvero insufficiente"* Nel Corano è affermata
la completa parità tra uomo e donna, tuttavia vi si legge più volte
che "gli uomini sono un gradino più in alto" delle donne (II-228). Sotto
il potere dei Taliban le donne sono state costrette a rinunciare ai
diritti civili acquisiti dopo tante lotte, a tornare ad indossare il
burqua (abito lungo che copre interamente il corpo e il viso) e ad abbandonare
i loro posti di lavoro. Sono totalmente subordinate agli uomini della
loro famiglia, che hanno su di loro diritto di vita e di morte, possono
ripudiarle abbandonandole sulla strada a chiedere l'elemosina e poi
riprendersele in casa. Non possono apparire in pubblico da sole e sono
quotidianamente vittime di punizioni pubbliche, lapidazioni e minacce
se non indossano l'abito adatto o se espongono accidentalmente qualche
centimetro di pelle in pubblico. Quella afghana è una società dove le
donne sono dei fantasmi: devono portare scarpe che non fanno rumore
e i vetri delle finestre delle loro case sono colorati in modo che non
sia possibile guardare dentro. La diffusione della depressione ha raggiunto
livelli spaventosi e la percentuale dei suicidi continua a crescere.
Oggi in Afghanistan l'unico impiego al quale la donna può aspirare è
nelle strutture ospedaliere dove resta comunque interdetto il contatto
e lo scambio anche solo verbale con il personale di sesso maschile.
Lo scorso 18 maggio la milizia ha fatto irruzione nell'ospedale per
le vittime di guerra di Kubul, voluto e gestito da Emergency, costringendo
il personale che vi operava ad abbandonare la struttura, aperta solo
il 25 aprile scorso, con il pretesto che nella mensa vi era troppa promiscuità:
le infermiere mangiavano insieme ai dottori. La situazione è critica
ed è difficile non intervenire di fronte alla violazione di diritti
umani fondamentali, come la libertà personale, anche se è necessario
agire con il doveroso rispetto per principi religiosi diversi dai nostri
e difficili da comprendere. Purché però questi siano democraticamente
accettati e non imposti con la forza e fatti osservare con la violenza,
a seguito di una interpretazione dell'Islam e del Corano quanto meno
discutibile se non del tutto errata. * Da Le figlie di Abramo - Donne
Sessualità e Religione a cura di M.A.Sozzi. Edizioni Guerini, 1998.
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Num 6 Giugno 2001 | politicadomani.it
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