Pubblicato su politicadomani Num 58 - Maggio 2006

Terra promessa
Uno Stato "quasi religioso"
Fra fede, osservanza religiosa e opportunità politica

di Alberto Foresi

Sebbene ostili ad ogni concessione modernista o laicista, i gruppi haredim ultraortodossi, spinti dalla necessità di negoziare con l'autorità costituita la propria separazione dallo Stato secolare, si trovarono ben presto inseriti in un processo di integrazione non riguardante i contenuti della propria fede e i rituali in cui si esplica, bensì l'accettazione di una prassi dialettica con il potere costituito. In questo modo gli haredim - detti gli "uomini in nero" per l'abito che usualmente indossano - organizzarono partiti con i quali entrarono a far parte del sistema politico nazionale e fondarono strutture religiose ed educative che beneficiavano dei contributi pubblici erogati dallo stesso Stato che, per altri versi, osteggiavano. Pervenuti così ad un compromesso con lo Stato, gli haredim perseguirono una politica volta alla delaicizzazione dello Stato, secondo il principio che la comunità politica non può sottrarsi all'autorità della legge religiosa. Subito dopo la proclamazione nel 1948 dello Stato di Israele, i leader delle comunità haredim stipularono con i dirigenti sionisti della risorta nazione un accordo che divenne uno degli elementi portanti della costituzione materiale di Israele: con questo accordo ottennero dai leader sionisti la costituzione di tribunali rabbinici competenti in maniera esclusiva in materia di matrimonio e di divorzio, che devono avvenire conformemente alla Torah; il riconoscimento ufficiale dello Shabbat e delle altre festività ebraiche; l'applicazione in ambito pubblico delle leggi religiose riguardanti la purezza alimentare (kasher); l'autonomia del sistema di educazione religioso. Se già con questi riconoscimenti veniva di fatto incorporato il diritto religioso nel diritto statuale, ancor più significativo è il fatto che essi ottennero che lo Stato di Israele non si dotasse di una costituzione scritta di ispirazione laica in quanto la costituzione era già presente nella Torah, la legge religiosa ritenuta superiore ad ogni altra legge umana. Poco dopo, nel 1950, in occasione della promulgazione della cosiddetta "legge del ritorno" (la legge che consente agli ebrei di qualsiasi nazione di ritornare in Israele) nuovamente gli haredim tentarono di influenzare la formulazione della legge. Ciò non tanto nella facoltà concessa a tutti gli ebrei, condivisa da tutti gli schieramenti politici, bensì nella determinazione di chi poteva essere definito ebreo e avere pertanto diritto di insediarsi nella nazione. Secondo gli haredim era da ritenersi ebreo solo chi era nato da madre ebrea o si era convertito secondo l' "Halakah", la legge religiosa. Questa condizione mirava ad escludere coloro che si erano convertiti all'Ebraismo conservatore o riformato dominante nella diaspora, soprattutto negli Stati Uniti, e aveva lo scopo di trasformare lo Stato di Israele, pensato dai Sionisti quale Stato degli Ebrei, in un vero e proprio Stato ebraico confessionale.
Il progressivo coinvolgimento dei movimenti ultraortodossi all'interno della politica sionista subisce un'accelerazione in occasione della "guerra dei sei giorni", con il problema di cosa fare dei territori occupati nel conflitto. Gruppi rilevanti haredim, fra cui i Lubavitch e i Gur, sostennero la necessità di annettere immediatamente allo Stato d'Israele i territori occupati. Questo non per ragioni strettamente politiche ma piuttosto di natura religiosa. Per questi gruppi è proibito cedere qualsiasi parte della Terra d'Israele in quanto si verrebbe a violare il principio fondamentale della "salvaguardia della vita" (pikuah nefesh). La cessione dei territori ai Palestinesi, ostili ad Israele, significherebbe mettere a repentaglio la vita stessa degli Ebrei presenti nei territori, fatto, questo, proibito dalla legge religiosa che nella protezione di ciascun membro del popolo ebraico vede il presupposto della salvezza di tutto il popolo. A questa visione si opposero, pur con le stesse motivazioni, altre correnti haredim minoritarie, contrarie all'annessione in quanto una posizione rigida sulla questione della Terra d'Israele, innescando continue reazioni da parte palestinese, non avrebbe fatto altro che esporre a costante pericolo la vita degli ebrei non solo nei territori occupati ma anche nel resto di Israele. È comunque paradossale il fatto che le correnti ultraortodosse, originariamente ostili alla politica sionista e alla stessa costituzione dello Stato israeliano, negando a tale stato alcun significato religioso, abbiano progressivamente non solo abbracciato l'ideologia sionista ma attribuito funzione salvifica allo Stato, passando così da un radicalismo puramente religioso ad un radicalismo di natura religiosa sempre più proiettato verso una dimensione politica.

 

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Num 58 Maggio 2006 | politicadomani.it