Pubblicato su politicadomani Num 58 - Maggio 2006

Il nuovo Presidente apre un nuovo corso nella politica istituzionale italiana, perché è la prima volta che un'ex iscritto al Partito Comunista Italiano viene eletto al Quirinale. La cosa è stata rilevata così dalla stampa, sia in Italia che all'estero, attenta a sottolineare come in Italia sia in atto un cambiamento radicale rispetto al passato. In un momento politico decisivo per le sorti della Costituzione, il cui impianto globale, valori compresi, sono stati profondamente cambiati fino ad essere stravolti con l'ultima riforma voluta da Lega e Forza Italia, l'elezione di Napolitano segna la fine della speranza di tutta una corrente di destra che auspicava per se la carica di Capo dello Stato.
Ma l'elezione di un ex-comunista al Quirinale è conseguenza non soltanto dell'incapacità politica del centrodestra di presentare un candidato autorevole, veramente indipendente, vale a dire non legato ad interessi di parte di alcun genere, scegliendolo per esempio all'interno della società civile, quanto piuttosto nell'evoluzione (o per qualcuno involuzione) dello stesso PCI e dei suoi esponenti politici. Il partito ha perso nelle vicende storiche che lo hanno attraversato la sua connotazione originaria. Tutto ciò senza mai dover rinunciare al consenso dei propri elettori.
L'elezione del nuovo presidente offre l'occasione di chiarire, soprattutto oltreconfine, quella complessa vicenda storica che era (è) il "comunismo italiano". E la natura di quella sua ala riformista-borghese espressa da Napolitano, che col comunismo storico ha poco o niente a che fare, e molto di più ha in comune con la socialdemocrazia. Cioè con il socialismo, le forze laburiste e quelle cristiano-sociali.
Il Presidente della Repubblica è Giorgio Napolitano
Per eleggere l'undicesimo presidente italiano sono stati necessari quattro scrutini, come fu per Einaudi e Gronchi

di Damiano Sansosti

Siamo nel 1942 quando il giovane Napolitano, a diciassette anni, fonda un gruppo comunista e antifascista che aderisce alla Resistenza. Nel 1945 si iscrive al Partito Comunista Italiano, di cui sarà segretario federale a Napoli e Caserta. Due anni dopo, nel 1947, si laurea in Giurisprudenza all'Università di Napoli, con una tesi di economia politica.
In quell'anno, dopo le dimissioni di Giuseppe Saragat, viene nominato presidente dell'Assemblea Costituente il comunista Umberto Elia Terracini. Sarà Terracini a firmare insieme a Enrico De Nicola, Capo dello Stato, e ad Alcide De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri, la Costituzione italiana. Lo stesso comunista Terracini che nel 1939 aveva criticato l'allenza tra Stalin e Hitler.
Napolitano lega il suo nome alle vicende politiche del nostro paese sin dal 1953, quando ancora giovanissimo, viene eletto alla Camera dei deputati grazie ai voti ottenuti nella circoscrizione di Napoli, dove è nato il 29 giugno del 1925 e nella quale verrà successivamente sempre rieletto fino al 1996.
Nel 1956 mentre è responsabile della commissione meridionale del Comitato Centrale del PCI, tra ottobre e novembre si consuma la repressione dei moti operai ungheresi da parte dell'URSS. Moti che anche la dirigenza del PCI italiano condanna come controrivoluzionari. Napolitano non è d'accordo.
Inizia da allora la spaccatura del Partito Comunista e contestualmente inizia anche l'apertura del partito verso posizioni più liberali in politica interna.
Tra il 1969 e il 1975, si occupa principalmente dei problemi della vita culturale del Paese, come responsabile della politica culturale del PCI.
Nel periodo della solidarietà nazionale (1976-79) è portavoce del PCI nei rapporti con il governo Andreotti, sui temi dell'economia e del sindacato, e responsabile della politica economica del partito. Dal 1986 dirige la commissione per la politica estera e le relazioni internazionali.
In mezzo c'è l'omicidio di Moro, il 9 maggio 1978, ad opera delle Brigate Rosse. Segno del destino, Napolitano sarà eletto Presidente della Repubblica 28 anni dopo, proprio il giorno dopo dell'evento. L'uccisione del grande statista cattolico, artefice con Berlinguer del progetto del cosiddetto "compromesso storico", segnò con il suo carico di tragicità e di misteri non ancora svelati la storia del nostro paese, in un momento di profonda crisi economica, sociale e politica.
Tra i maestri del futuro presidente la figura più significativa è quella di Giorgio Amendola, leader dell'ala più moderata del PCI. Da lui eredita l'orientamento riformista, ma da lui si distanzia anche, condannando l'invasione sovietica dell'Afghanistan, che Amendola invece giustificava. L'altro personaggio politico con cui si confronta nel PCI è Enrico Berlinguer, suo coetaneo.
Napolitano considerava Berlinguer uno dei protagonisti del cammino verso quello che considerava il "superamento delle contraddizioni di fondo tra il PCI nella sua evoluzione e il comunismo come ideologia e come sistema". In seguito criticò le scelte di arroccamento del partito su posizioni che riteneva ormai fuori della realtà e prese a lavorare alla tappa successiva della storia del comunismo italiano, che si sarebbe concretizzata all'inizio degli anni Ottanta: la presa di distanza definitiva dall'Urss.
Napolitano si adoperò sempre per tenere aperta la possibilità di un confronto e di una possibile convergenza con il PSI. Cercò di mantenere vivi i contatti fra il socialismo europeo e quello italiano negli anni dello scontro durissimo tra Berlinguer e Craxi, quando i due leader si trovarono su posizioni opposte in occasione del referendum che avrebbe abolito la scala mobile. Sono gli anni '80, gli anni del patto Craxi-Andreotti-Forlani.
Alla morte di Berlinguer, Napolitano si trovò ad essere tra i possibili successori alla segreteria del partito. Gli venne tuttavia preferito Alessandro Natta.
Nella sua autobiografia politica "Dal PCI al socialismo europeo", Napolitano parla del suo "grave tormento autocritico". In quegli anni prevale all'interno del PCI in politica estera una piena e leale solidarietà agli Usa e alla NATO. È la posizione di Napolitano. Si consuma così lo strappo del Partito Comunista Italiano dal PCUS e da allora prende quota all'interno del PCI l'ala riformista-moderata, della quale Napolitano è uno dei fondatori.
Circondata inizialmente da sospetto e perfino da un certo disprezzo, via via negli anni confluiranno in questa corrente tutte le componenti del PCI, passato dalla difesa ad oltranza della scala mobile a sostenere i fondi per la scuola privata, dalla collaborazione con il sindacato a quella con la confindustria, dalla pace al sostegno delle missioni di "pace".
Nel 1991 il PCI scompare definitivamente; sopra la falce e martello spunta una grande quercia: è il nuovo simbolo del PDS. Nel 1998 dalle radici della quercia sparisce anche il vecchio simbolo e il partito, che prende il nome attuale di Democratici della Sinistra (DS), si apre definitivamente alle istanze del socialismo europeo e alle forze laburiste e cristiane. Oggi i DS sono parte del Partito Socialista Europeo e pienamente in linea con la tradizione storica e politica italiana.
Una sintonia pazientemente e incessamente costruita anche da Giorgio Napolitano.

 

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