Pubblicato su politicadomani Num 58 - Maggio 2006

Trame surreali estranianti sullo sfondo di un paese sconfitto nei suoi ideali di giustizia e umanità
Mistero e realtà nella scrittura di Baha Taher
Segnati da una profonda carica autodistruttiva, i protagonisti dei romanzi di Taher assistono, ormai passivamente, all'infrangersi dei propri sogni politici contro le mura della realtà. Nella lontananza di esili auto-imposti, si sforzano per capire le ragioni di una sconfitta politica che si perde nel disordine della storia e finiscono per trovare risposte soltanto nel proprio intimo, nell'amore, sebbene spesso anch'esso si riveli come un vano tentativo di sfiorare l'altro, per poi essere condannati a tornare alla propria solitudine, resa ancora più dolorosa dalla percezione dell'assenza.

di Elisabetta Benigni

È grazie alla bella traduzione di Giuseppe Margherita del romanzo Zia Safia e il monastero (Roma, Jouvance, 1993) che lo scrittore egiziano Baha Taher comincia a essere conosciuto e apprezzato in Italia. Celebrato nel suo paese come uno dei maggiori scrittori contemporanei, famoso in tutto il mondo arabo, è autore prolifico di trame avvincenti, che si misura con diversi linguaggi artistici in romanzi, racconti brevi e saggi letterari.
Nato nel 1935, lo scrittore fa parte di quella generazione di intellettuali egiziani che ha vissuto in prima persona l'ascesa e la crisi del regime nasseriano e, in seguito, l'affermarsi di un nuovo ordine economico e politico in tutta l'area mediorientale.
L'originalità di Taher è nel proiettare le tensioni di questa sofferta congiuntura storica e politica, su un piano più profondo, dove si intrecciano con le fragilità dell'individuo. I malinconici eroi delle sue narrazioni sono trascinati e smarriti tra le antinomie della storia e quelle, insondabili e oscure, del loro intimo.
Quando lo scrittore nasce la sua famiglia, originaria dell'Alto Egitto, si è da poco trasferita al Cairo. L'infanzia trascorre tra i racconti e le storie di quel vasto territorio del sud: un mondo rurale, fatto di ritualità magiche e di ritmi ancestrali, lontanissimi dal clima cosmopolita della capitale. Le atmosfere desertiche e le suggestioni sovrannaturali della terra d'origine riecheggeranno in molti dei suoi scritti.
La partecipazione alla rivolta contro la monarchia egiziana, succube della dominazione britannica, e il fervido appoggio al "sogno" nasseriano sono le esperienze che segnano l'autore e l'opera. L'ascesa al potere di Nasser deluse le sue attese di libertà e i sogni di progresso: il corso degli anni Sessanta ha rappresentato il crepuscolo delle illusioni per molti intellettuali, la cui voce è rimasta a lungo soffocata dalla repressione poliziesca e dalla severa mano della censura. Negli anni Settanta, nell'Egitto di Sadat, perso il suo lavoro alla radio, oppresso da un crescente controllo politico, lo scrittore si trasferisce a Ginevra dove per molti anni lavora come interprete presso le Nazioni Unite.
Solo nel 1998 Taher torna nel proprio paese dove riceve, nello stesso anno, il Premio dello Stato Egiziano per il Merito Letterario, il più alto riconoscimento conferito a uno scrittore, a dimostrazione dell'avvenuta ricomposizione del dissidio con il potere. L'esperienza dell'esilio ha lasciato tuttavia una traccia profonda nel suo vissuto, sicché l'amarezza e il disagio del vivere altrove e la fuga disperata da qualsiasi coinvolgimento esistenziale o politico sono i toni che caratterizzano la sua scrittura.
I racconti rivelano, in nuce, quei temi che saranno poi ampiamente sviluppati nei romanzi. Sullo sfondo di un paese sconfitto nei suoi ideali di giustizia e umanità, Taher ordisce trame surreali e stranianti, come nel suo primo racconto, Il Fidanzamento (tradotto da Lorenzo Casini in AA.VV. Fuori dagli argini, racconti del Sessantotto Egiziano, Roma, Edizioni Lavoro, 2003). Il protagonista, recatosi dal padre della donna da lui amata per chiederla in sposa, viene precipitato, da una situazione apparentemente banale, in un vortice di accuse infamanti, apparentemente immotivate, ma che, pur prive di fondamento, lo umiliano, portandolo alla follia.
In questo ricorrere dell'assurdo, nei racconti come nei romanzi, sono le menti di inquietanti, quanto affascinanti, personaggi femminili a detenere la chiave di accesso a misteri della psiche che esulano la comprensione umana. L'universo narrativo di Taher è così popolato da oscure potenze irrazionali e da tragiche eroine, depositarie di malinconia e grazia.
Emblematico, sotto questo aspetto, il racconto L'altra notte ti ho sognato (tradotto da Isabella Camera d'Afflitto, in AA.VV. Scrittori arabi del Novecento, Milano, Bompiani, 2002) dove in una fredda, non meglio identificata, città dell'Europa settentrionale, si instaura una particolare relazione tra un giovane introverso egiziano e una ragazza del luogo. L'incontro tra i due avviene sotto il segno della solitudine. Lo straniero è, ipso facto, uno sradicato, un individuo che non riesce a comunicare pienamente la sua identità; ma è l'europea Anne Marie, affetta da una grave crisi nervosa, a rappresentare il varco verso un inquietante mondo di misteri e presagi, dove l'uomo non è che un'ignara vittima degli eventi.
Come delle moderne eroine tragiche le protagoniste delle narrazioni di Taher hanno per caratteristica il dubbio e la crisi, animate come sono dal continuo confronto con l'incomprensibile: con l'inevitabilità della morte, la fragilità del corpo, la violenza della natura.
Come Anne marie di L'altra notte ti ho sognato, Safia, protagonista del romanzo Zia Safia e il monastero, vincitore nel 2000 del premio "Giuseppe Acerbi", è paradigma di una scissione, dello smarrimento di chi ha perduto il controllo, di chi ha incrinato l'equilibrio della quotidianità dei ruoli e dei gesti consueti e, all'improvviso, è catapultato in uno stato di alienazione mentale.
È un romanzo ricco di suggestioni, ambientato in un villaggio contadino dell'Alto Egitto, dove la follia di Safia irrompe, nel silenzio delle atmosfere desertiche, con la forza di un cataclisma. Nel progredire della narrazione partecipiamo al suo inesorabile precipizio autodistruttivo, al lento allontanamento dalla comunità del villaggio e dalle norme di comportamento codificate, verso una completa rottura con l'equilibrato microcosmo che la circonda.
Tradotti in italiano, sebbene ancora non pubblicati, i due romanzi che hanno valso all'autore maggior fama: Disse Duha (1985) e L'amore in esilio (1995). In questi, contiguamente alla dimensione di oscuro onirismo, si staglia la drammatica riflessione sul senso dell'esilio. Segnati da una profonda carica autodistruttiva, i protagonisti di questi romanzi assistono, ormai passivamente, all'infrangersi dei propri sogni politici contro le mura della realtà. Nella lontananza di esili auto-imposti, si sforzano per capire le ragioni di una sconfitta politica che si perde nel disordine della storia e finiscono per trovare risposte soltanto nel proprio intimo, nell'amore, sebbene spesso anch'esso si riveli come un vano tentativo di sfiorare l'altro, per poi essere condannati a tornare alla propria solitudine, resa ancora più dolorosa dalla percezione dell'assenza.
Difficile non lasciarsi affascinare da questa scrittura, da cui emerge una percezione dell'esistenza dominata dal fortuito e dal caos attraverso una lingua semplice, limpida e poetica allo stesso tempo.
Impulso alla testimonianza storica e indagine nei territori del sogno e della psiche si intrecciano in questi romanzi. Leggerli significa compiere un viaggio attraverso quella che è l'identità più profonda dell'Egitto: un paese dominato dalle vestigia di un passato che pare immobile nei suoi misteri e continuamente mutevole nelle contraddizioni del suo presente.

 

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