Pubblicato su politicadomani Num 58 - Maggio 2006

Imprese miste in Venezuela
Ma l’Eni non ci sta
Le tasse imposte alle multinazionali del petrolio dal presidente Chavez serviranno a ridare speranza a milioni di poveri finora invisibili

di Eryka David

"Il diritto dei popoli e delle nazioni alla sovranità permanente sulle loro ricchezze e risorse naturali deve esercitarsi nell'interesse dello sviluppo nazionale e del benessere del popolo del relativo Stato" (ONU, Risoluzione n. 1803 del 14 dicembre 1962). Allora ha ragione Chavez che in Venezuela sta imponendo la semi-statalizzazione delle risorse minerarie del paese. Risorse che serviranno per la sanità, l'educazione e l'edilizia popolare, invece che arricchire le multinazionali straniere, come è avvenuto finora. Gli accordi che riguardano la zona petrolifera detta "Faja del Orinoco", stipulati dal governo con le multinazionali del petrolio negli anni 1986-'87, gli anni della grande svendita allo straniero, sono stati rivisti nel 2001 e alle multinazionali sono stati dati quattro mesi di tempo per mettersi in regola. I nuovi accordi prevedono che per poter far parte del nuovo modello di imprese miste, si deve pagare il 30% di tasse sulla quota di produzione eccedente la quota base, pari, per esempio, nel progetto Sincor franco-norvegese, a 114.000 barili di petrolio al giorno. Per la quota base la tassazione è invece del 16,6% (parcentuale in vigore dal 1943). Era tuttavia possibile negoziare una percentuale pari all'1% in favore di alcune compagnie. Negli anni '80, per favorire gli investimenti delle imprese petrolifere straniere, tale negoziazione era diventata un fatto usuale. La riforma delle tasse di Chavez del 2001 elimina quest'ultima forma di privilegio fiscale. Inoltre un'altra imposta pari al 3,33% va versata ai fondi di sviluppo dei Municipi dove hanno la loro sede le imprese.
Per potersi trasformare a imprese miste, le compagnie petrolifere devono dimostrare di essere in regola con il pagamento delle tasse dovute. La nuova politica fiscale del presidente venezuelano non ammette deroghe ed è molto severa nei controlli.
L'italiana Eni non ha accettato di pagare le tasse estinguendo così il debito accumulato. È scattato così lo scorso 24 marzo il provvedimento della giustizia fiscale venezuelana: l'Eni, che deve estinguere un debito di circa 46 milioni di dollari nei confronti della compagnia petrolifera statale venezuelana PDVSA, è stata costretta a chiudere per 48 ore. Lo scorso 29 marzo anche la francese Total ha dovuto pagare 19,4 milioni di dollari, su un totale di 108 milioni di debito. Sia gli italiani che i francesi hanno lasciato scadere la data ultima del 1° aprile per la regolarizzazione della loro posizione fiscale. Puntuali sono scattate le sanzioni: i dipendenti delle due aziende sono passati alle dipendenze della PDVSA, 80.000 barili di petrolio estratti dai due giacimenti sono diventati proprietà dello Stato, il quale ha anche assunto il controllo dei terreni petroliferi su cui operavano le due imprese.
"Noi non vogliamo arrivare a questo tipo di sanzioni, ma è nostro obbligo applicare le leggi senza nessun tipo di distinzione, soprattutto ad imprese che hanno ottenuto straordinari introiti con la commercializzazione del petrolio e che rifiutano il riconoscimento ed il pagamento delle imposte allo Stato" ha dichiarato José Vielma Mora, il sovrintendente nazionale tributario.
Le altre 16 compagnie petrolifere straniere, fra cui Shell, Chevron, China National, CGC e Repsol Ypf, hanno pagato quanto dovuto per continuare ad operare in Venezuela, un paese con il 10% di crescita economica. Queste imprese hanno firmato "accordi di migrazione a imprese miste", nei tempi stabiliti. La nuova legge prevede che il 63% dell'impresa a capitale misto sia controllata dalla PDVSA e il restante 37% resti nelle mani dei soci privati.
Queste regole permettono al Venezuela di avere accesso all'80% degli introiti per reddito petrolifero (invece del 33%), che saranno reinvestiti in piani sociali e di sviluppo sostenibile. Su questa vicenda che ci vede coinvolti, c'è stato o silenzio o, peggio, disinformazione. Sulla stampa mondiale la volontà di Chavez di restituire al paese il controllo delle risorse petrolifere è stata presentata come l'atto illegale di un dittatore. È però un fatto che la risoluzione 1803 dell'Onu è stata sottoscritta da tutti i paesi e che il Venezuela è un paese povero che ha necessità di soccorrere la propria popolazione con le proprie risorse.

 

Cosa dice l’Eni

In un comunicato diffuso dall'Eni a proposito del trasferimento forzato delle attività del giacimento di Giacion dopo la contestata riforma fiscale del governo di Hugo Chavez, la compagnia afferma che in Venezuela sono stati violati i suoi diritti contrattuali e che la società proporrà alla PDVSA l'avvio di una trattativa per ottenere un pieno risarcimento.
"La compagnia petrolifera di stato del Venezuela - spiega l'Eni in una nota - PDVSA ha comunicato a Eni che a partire dal 1 aprile 2006 il contratto operativo di servizio relativo alle attività minerarie dell'area di Dacion è stato unilateralmente terminato. Pertanto devono essere poste in essere tutte le azioni per trasferire la conduzione delle operazioni al personale designato da PDVSA... L'Eni si adeguerà alla richiesta di PDVSA offrendo collaborazione perché il passaggio delle consegne avvenga in tempi concordati... Ritiene tuttavia che questa azione di PDVSA sia una violazione dei propri diritti contrattuali e intende offrire a PDVSA un periodo di tempo per trovare un accordo atto a conseguire il pieno risarcimento dei suoi diritti. In assenza di accordo, l'Eni valuterà ogni azione da intraprendere a difesa dei propri interessi in Venezuela".

[Fonte ASCA]

 

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