Pubblicato su politicadomani Num 58 - Maggio 2006

Editoriale
Un popolo maturo

di Maria Mezzina

Diventeremo mai un popolo maturo? Il recente scandalo sul calcio, che vede coinvolte le grandi signore del campionato maggiore, ha portato alla luce il marcio di cui tutti sapevano ma che finora era rimasto sotto la cenere. Una illegalità sulla quale sono state costruite fortune finanziarie puramente virtuali che ora rischiano di portare al disastro economico tanti "poveri diavoli" che avevano creduto nel matrimonio fra la passione sportiva e i propri risparmi. Risultato, questo, di una sapiente e spregiudicata campagna di "disinformazione" sulla reale consistenza delle azioni che essi andavano a sottoscrivere. Tutto ciò con il sigillo di un Governo tanto compiacente quanto compromesso.
Questo nuovo - e speriamo definitivo - terremoto nel mondo del calcio sta facendo passare in secondo piano tutto il lavorìo che è seguito al risultato del voto di aprile. 25.000 voti separano la maggioranza dall'altro schieramento ma, mentre da una parte sono evidenti gli sforzi per la ricerca di una unità necessaria seppure difficile - basti pensare alla doppia rinuncia di Massimo D'Alema - dall'altra la sconfitta, di misura, sta aprendo un confronto che riteniamo positivo: quello fra la conduzione per così dire "manageriale" del capo che prende le decisioni perché, di fatto, è lui che mette i soldi, e quella più propriamente "politica", fatta di dialogo senza pregiudiziali ideologiche e di accordi presi fra pari, che mettono ciascuno sul tavolo idee e competenze e che per questo esigono rispetto. È un peccato che questa strategia di una parte del centrodestra sia stata finora perdente, no-nostante gli sforzi di persone di grande spessore politico e morale come Follini e Tabacci. Ed è un peccato che questa sconfitta rischi di segnare un enorme passo indietro nella maturazione di un sistema compiutamente bipolare nel Paese. La recente posizione assunta da gran parte dei deputati del centrodestra (Cdu, An, e Forza Italia) nell'elezione del Capo dello Stato ha mostrate quanto essi siano ancora succubi della miopia prepotente di un ex Capo di Governo impaurito dalle minacce di secessione dal suo gruppo di un ex (di fatto) leader di un minuscolo partito sorto in quel di "Padania" [ipotetica regione del nord Italia, presente solo nella fantasia ostinatamente confusa di qualche migliaio di scalmanati che si autodefiniscono popolo della Padania ed auspicano la divisione dell'Italia]. Peccato, perché alla destra sono legati tradizione e valori di tutto rispetto rappresentati dalla parte migliore del centro che le appartiene ma che, come un vaso di coccio fra otri di ferro, si trova stretto fra opportunismo di potere ed economico e semplicismo incapace e ignorante condito da una buona dose di presunzione e arroganza. Peccato davvero.
C'è bisogno di grande maturità nel Parlamento appena eletto. Una maturità che il popolo italiano ha mostrato ampiamente di possedere con l'energica virata al centro della barra di un timone che per tradizione e cultura nostra millenaria va tenuto al centro.
Del lavorìo che nelle stanze del Transatlantico e nelle segreterie dei partiti si è fatto e si continua a fare, ciò che traspare sui media è poco più di un toto-ministri. Qualcuno, più attento alle reali vicende del Paese, parla di problemi, possibili soluzioni, strategie. Ma bisogna leggere la stampa fuori dal giro dei milioni di euro di finanziamenti governativi, o andare sui siti di informazione cosiddetta "alternativa", un termine per indicare informazione non omologata, non "embedded". Quella che dallo Stato non solo non riceve nulla, ma è messa in condizioni di non poter ricevere neppure quel poco a cui avrebbe diritto, come spieghiamo nell’articolo accanto.
C'è un lavorìo interno alla coalizione di Prodi con il quale si dovrebbero gettare le fondamenta a sinistra di un centro "alto" capace di dialogare costruttivamente con uno auspicabile di destra, altrettanto "alto". Questo lavorìo dovrebbe portare alla costituzione del Partito Democratico. Non si tratta di rifare il "Grande Centro", una sorta di nuova Democrazia Cristiana come molti nostalgici ormai avanti negli anni vorrebbero, e altrettanti temono, più nelle fila di sinistra che in quelle di destra. Si di superare gli egoismi di parte che hanno caratterizzato l'ultimo ventennio, di dare una spinta alla maturazione completa del sistema bipolare, spingendo agli estremi le forze ideologicamente più intransigenti - a sinistra come a destra, senza tuttavia delegittimarle - per dare spazio a due visioni diverse di Stato. Anche contrapposte, ma sempre moderate e pronte al dialogo e alla collaborazione costruttiva, ambedue ispirate alle istanze della società civile che rappresentano.
È un progetto, una visione, se si vuole, che vale la pena di sostenere. E che merita il contributo di storici e studiosi che su questo progetto, invece, sono ancora molto perplessi. La forza della speranza contro il realismo della ragione.
Utopia? Non proprio. La storia è piena di visionari che l'hanno segnata. Giorgio La Pira, amatissimo sindaco di Firenze, l'uomo della pace e degli incontri impossibili, era uno di questi.

 

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