Pubblicato su politicadomani Num 57 - Aprile 2006

Morti bianche
Sotto silenzio

di Carla Petrella

Caterina Nencioni, 45 giorni; Valentina Guarino, 6 mesi; Nunzia Pandolci, 18 mesi; Angelica Pirtoli, 2 anni; Valentina De Maria, 2 anni; Gioacchino Costanzo, 2 anni; Salvatore e Giuseppe Asta, 6 anni; Nadia Nencioni, 8 anni; Simonetta Lamberti, 10 anni… L'elenco sarebbe troppo lungo. Tanti bambini…Troppi bambini...Bambini sconosciuti.
Quello che accomuna tutti questi bambini è il fatto di essere morti. Assassinati per ordine e per conto della mafia. Di loro non sappiamo o non ricordiamo quasi niente. Nessuno di questi bambini ha tenuto la gente sveglia davanti al televisore. Per nessuna di queste morti è stata chiesta dall'opinione pubblica una punizione esemplare. Per i loro assassini nessuno ha pensato di chiedere il ripristino della pena di morte. Perché? Perché nessuno di loro è stato oggetto delle attenzioni della stampa, della televisione, dei cosiddetti mezzi di informazione. Non ci sono stati giornalisti assiepati fuori della casa dei loro genitori a chiedere che cosa provassero, a chiedere che avrebbero fatto ai loro assassini. Non dico che le loro morti siano passate completamente sotto silenzio. Sicuramente i giornali ne avranno parlato. Un giorno o due. Poche righe in cronaca. E poi il silenzio.
Alle vittime della mafia ormai siamo abituati, il fatto che siano bambini non incide più di tanto. Ugo Betti, drammaturgo italiano, ingiustamente dimenticato, in un suo dramma "L'aiuola bruciata" fa dire ad uno dei personaggi: "I guai di un uomo: finché è lui a pensarci, rimangono… i guai di un uomo. Gli somigliano. Moltiplicati per milioni diventano… che devono diventare? Tonnellaggio e cubatura. Per forza. Contabilità, casermaggio."
La morte di un bambino ci colpisce, ci coinvolge, ci appartiene. La morte di tanti bambini diventa contabilità, elenco, numero. Quanti sono i bambini morti di mafia? Tanti, tantissimi, troppi. Quanti sono i bambini uccisi nei conflitti passati e presenti? Tanti, tantissimi, troppi. Quanti sono i bambini che sono morti e che muoiono di fame, di miseria, di ignoranza? Tanti, tantissimi, troppi. Ma di questi non si parla. Questi bambini non fanno vendere i giornali, non fanno audience. E allora la loro morte non ci colpisce, non ci coinvolge, non ci appartiene. Di questi bambini non si parla al mercato, nei salotti pubblici e privati, in fila in banca o alla posta, mentre si aspetta l'auto o il treno. Li abbiamo dimenticati, semplicemente. Se pure abbiamo mai saputo della loro vita e della loro morte.
Oggi siamo pieni di indignazione: un bambino è stato barbaramente ucciso e noi, giustamente, siamo pieni di rabbia e vorremmo che i colpevoli pagassero e pagassero caro il loro infame delitto. Ma la severa punizione che, nella nostra giusta rabbia, nella nostra legittima indignazione, chiediamo a gran voce è una punizione che dovremmo invocare anche per noi, per noi tutti, uomini e donne, che, giorno dopo giorno, assistiamo distratti a questi massacri di bambini innocenti. Noi, che, in un modo o nell'altro, per la nostra distrazione siamo tutti colpevoli.
Mentre tutti piangono per la morte di un bambino, vigliaccamente ucciso, voglio piangere anch'io. Ma io voglio piangere anche per tutti i bambini che abbiamo dimenticato, e per tutti quelli di cui non so niente, e per tutti quelli che non sono morti sulle prime pagine di tutti i giornali, la cui morte abbiamo archiviato troppo in fretta.
E vorrei piangere anche per me, che sono parte di una umanità senza cuore e senza coscienza, dalla memoria troppo corta. Una umanità per la quale non si può avere rispetto, priva di orgoglio e di dignità, senza speranza.
Sto invecchiando per fortuna e non c'è più tanto tempo davanti a me. Per fortuna, perché come ha detto Pasolini, "sono in questo momento, apocalittico, cioè vedo davanti a me un mondo doloroso e sempre più brutto...non ho speranze, quindi non mi disegno nemmeno un mondo futuro".

 

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