Pubblicato su politicadomani Num 57 - Aprile 2006

La giusta rappresentanza
Sistemi elettorali dal 1919 al 1993
Dal proporzionale puro al suffragio universale e al maggioritario corretto

di Maria Mezzina

Gli esperti dicono che il sistema elettorale spesso definisce il carattere del paese. A volte esso è tanto connaturato alla sua identità da prenderne il nome. Così esiste un "doppio turno alla francese", un "uninominale secco all'americana", un "proporzionale puro all'italiana" (fino al 1994).
In realtà il nostro paese, sperimentata l'inefficienza del sistema proporzionale ha bisogno di dotarsi di un sistema che superi presto il disastro che l'ultimo, appena varato, ha solo iniziato a produrre (supposto che i sistemi elettorali siano in grado di correggere le cattive abitudini) . È il caso, allora, per capire meglio, di fare una breve cronistoria dei passaggi elettorali che hanno interessato il nostro paese: dal proporzionale puro al maggioritario corretto.
In Italia il suffragio universale fu introdotto nel 1912 (legge 30 giugno n. 666). Potevano votare solo gli uomini di età superiore ai 30 anni, senza alcun requisito né di censo, né di istruzione. Dalla legge erano esclusi i giovani dai 21 ai 30 anni per i quali valeva ancora la legge precedente (per votare era necessario possedere un titolo di studio, avere assolto il servizio militare e avere un certo reddito). Le donne erano escluse. La proposta di far votare anche le donne era stata respinta con 209 voti contrari, 48 favorevoli e 6 astenuti. Solo al termine della prima guerra mondiale, con la legge 16/12/1918 n. 1985, il suffragio universale fu esteso a tutti i cittadini maschi di età superiore ai 21 anni e a tutti i maschi, anche più giovani, purché avessero prestato servizio militare in guerra.
Fino al 1918 il sistema elettorale era stato strettamente maggioritario. Furono le forze di ispirazione cattolica e socialista, organizzate in partiti di massa, a spingere per una riforma elettorale in senso proporzionale. Ciò per dare rappresentanza alle classi che maggiormente avevano sopportato il peso della guerra. La nuova legge elettorale proporzionale (n. 1401 del 15/08/1919) fu votata a scrutinio segreto e approvata con 224 voti a favore e 63 contrari. I collegi elettorali furono divisi in base alle Provincie in modo che ognuno avesse una rappresentanza di almeno 10 parlamentari.
Da allora il sistema elettorale italiano è rimasto un "sistema proporzionale puro" all'interno del quale tuttavia ci sono stati grandi scontri bipolari. Come nel 1946, quando si tennero le prime vere elezioni a suffragio universale - votarono allora per la prima volta anche le donne - in occasione del referendum del 18 aprile fra Monarchia e Repubblica. Lo scontro bipolare si ripeté due anni dopo, nel 1948, quando si fronteggiarono i due grandi partiti di massa: la Democrazia Cristiana e il Fronte Popolare.
Il proporzionale puro era però all'origine di una instabilità di governo che stava penalizzando lo sviluppo del paese. L'unico tentativo di mitigarlo per garantire la governabilità fu fatto nel 1953 da De Gasperi: la legge prevedeva un premio di maggioranza pari al 65% dei seggi in parlamento alla coalizione che avesse superato il 50% +1 dei voti. La legge fu subito ribattezzata "legge truffa" dai partiti della sinistra (Pci e Psi) della estrema destra (Msi e Pnm), e da molti autorevoli esponenti del liberalismo democratico e del riformismo.
Nel referendum del 9 giugno 1991(promosso, fra gli altri, da Segni e Pannella) con il 98% dei consensi e una partecipazione al voto del 65% dei votanti (nonostante gli inviti all'astensione di molti esponenti politici e l'invito di Craxi, allora capo del governo, ad andare al mare), venne approvata la modifica della legge elettorale al Senato: gli italiani avrebbero avuto a disposizione una sola preferenza. Non era granché e la campagna referendaria giocò molto sul reale significato di ciò che si andava ad abrogare (le preferenze multiple). Servì però a dare l'impulso iniziale.
Sulla scia del referendum, con la legge 81/93 fu approvata in Parlamento l'elezione diretta del sindaco. Venuto poi a mancare l'accordo per una legge di riforma elettorale, nel referendum del 18 aprile 1993 gli italiani si espressero a favore del maggioritario al Senato (o meglio per l'abrogazione del sistema proporzionale) con l'80% dei voti.
Tutto ciò allo scopo di garantire al paese una maggiore stabilità di governo. La volontà espressa dal popolo italiano, tuttavia, non sarebbe mai stata realmente rispettata. Fino ad arrivare all'indecenza dell'ultima legge elettorale, con la quale siamo andati a votare il 9 e 10 aprile scorso, che è stata pensata proprio per lo scopo esattamente opposto: garantire il massimo di instabilità al nuovo governo per consentire al più presto il ribaltamento dell'esito elettorale.

 

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