Pubblicato su politicadomani Num 57 - Aprile 2006

Parole Paniche

 

C'è polvere e sangue rappreso. Rimasugli di vita in pezzi nei resti del cibo, sui tavoli e a terra, nelle ciotole d'ogni forma. Vetri orbi per la pioggia sempre più nera nutrono d'ombra il tutto. E altrove è il mondo.
Fuori
un uomo
vestito di nero
suona
un flauto
su un cavallo
nero
nel deserto
ed il figlio nudo
a lui
aggrappato
Si fermano
Protegge il piccolo
dal sole
con un ombrello
Mentre
il bambino
seppellisce
la foto della madre
e un gioco
sotto la sabbia
Si rimettono
in cammino
Squarci
in un cielo opaco
Nessuno vede
nessuno
sente
E così
mutare
in maschera
in massa inerme
in aria
Lasciando stare
il tempo
Non guardarlo
Non gradirlo
E così vedere corpi mutilati. Ammassati ad ogni angolo di mondo, gridare a chi non sa, a chi non conosce, verità. Senza farsi scorgere dal vuoto intorno. E dentro. Così ascoltare altrove, sempre nuovo vociare, ancora.
Obesi gatti vegliano mai sazi su stoffe d'ogni colore i resti delle essenze, in casa. Obesi occhi. Obesi sensi miei, ancora, a raccontare. Le stagioni, tra volti e folle. Le orme impregnate altrove dal cammino. Altrove.
Fuori
un uomo
vecchio
che non suona
più
E il figlio
un uomo
che piange
Sotto un ombrello
sorretto
dal vecchio
si copre
dal sole
per disseppellire
giochi
e ricordi
Vieni soldato
corri
Vieni a pagare
il prezzo
Vieni
Non voltarti
Non guardare
Non pensare
Le bestie urlano
Rallentano
i movimenti
i contorni
sfumano
Richiami
che tradiscono
che urlano
e nessuno vede
e nessuno sente
Squarci di cielo
opaco,
lame
in una carne
già morta.
Dentro le lancette assumono forme d'ombra. La plastica si distorce in sfondo. Riflessi, di una storia, di sangue ancora caldo. Ancora la materia è tempo. E parla, racconta, inganna. Narra di padri e figli. Padri e Figli.

 

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