Pubblicato su politicadomani Num 57 - Aprile 2006

È meglio pubblico

di Fabio Antonilli

La lezione sulla opportunità di scindere il servizio pubblico del trasporto ferroviario dal libero mercato ci giunge, a distanza di circa 130 anni, da un liberale. Uno di quelli che nel 1800 governavano il nostro Paese, da poco unito, e che - tanto per intenderci - non credevano né al diritto di voto a tutti i cittadini né all'idea di uno Stato che dovesse accollarsi spese sociali. Insomma, un liberale "vero", Silvio Spaventa.
Spaventa ricopriva l'incarico di Ministro dei Lavori Pubblici del Regno d'Italia quando nel 1876 presentò in Parlamento un'inchiesta, "Lo Stato e le ferrovie", con la quale proponeva per la prima volta di portare in mano pubblica il servizio su rotaia. La battaglia del ministro si arenò presto per la caduta del governo, e fu necessario attendere trent'anni perché Giovanni Giolitti, liberale anch'egli, recuperando l'idea di Spaventa ottenne la nazionalizzazione delle ferrovie. Era il 1905, e fino ad allora il servizio ferroviario era stato gestito da tre società che si dividevano a loro volta il territorio: le ferrovie dell'Alta Italia (SFAI), al nord; le Strade Ferrate Romane (SFR), al centro; le Strade Ferrate Meridionali, al Sud. Due dati emergevano dall'inchiesta di Spaventa: l'inconciliabilità tra ferrovie e libera concorrenza, e la necessità di fare del trasporto ferroviario un servizio d'interesse nazionale.
"La cosiddetta industria ferrovia altro non è se non un monopolio di fatto, goduto da chi possiede ed ancora più da chi esercita la strada ferrata" con conseguente "danno dei molti" e a favore "dell'egoistico tornaconto privato", scrive Spaventa.
Non ci sono esempi di tracciati ferroviari in cui almeno due linee ferroviarie parallele, servendo le stesse località, agiscano in regime di libera concorrenza, nota il ministro "dove un tal fatto potesse aver luogo, le due compagnie, accorgendosi che la loro gara sarebbe la reciproca rovina, si accorderebbero ben presto per esercitare le due linee parallele come vari binari dello stesso tracciato". È assurdo impiegare due capitali per fare ciò che si può fare con uno solo e "creare uno stato di cose, il cui sicuro risultato sarebbe di dimezzare i redditi di entrambe le società". In Inghilterra, patria dell'efficientismo dei privati, "le rivalità delle Compagnie apportarono diminuzioni di reddito per gli azionisti e rincaro di tariffe per il pubblico". Fare due o tre linee ferroviarie, mentre una sola sarebbe sufficiente, costringe a raddoppiare o triplicare le spese sia di capitale, sia per di esercizio. Inoltre, distribuendo fra vari enti un prodotto che è sufficientemente remunerativo per un solo ente, il rialzo dei prezzi di trasporto diventa inevitabile.
"L'intervento dello Stato in questo ramo di pubblico servizio - dice Spaventa - è pienamente giustificato per considerazioni, più che di attualità, di assoluta necessità". E, citando Stuart Mill, aggiunge "un Governo che concedesse ad una Compagnia privata senza le opportune riserve, farebbe lo stesso come se permettesse ad una società, o ad un privato, di esigere una tassa su tutto l'orzo, ad esempio, prodotto in un paese o su tutto il cotone importatovi".

IL LIBRO:
Silvio Spaventa, “Lo Stato e le ferrovie. Scritti e discorsi sulle ferrovie come pubblico servizio (marzo-giugno 1876)”, a cura di Sergio Marotta, Vivarium, Napoli, 1998.

 

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