Pubblicato su politicadomani Num 57 - Aprile 2006

Il senso e l'oggetto
In-formazione
"Se mai un giorno un solo brandello di queste piccole verità venisse detto da voci consacrate, nelle piazze, nelle assemblee di governo, allora quella voce diventerà rombo, si moltiplicherà, inarrestabile, sempre più in alto fino a nomi impronunziabili... Così i vostri morti avranno sepoltura e la terra fresca della verità coprirà finalmente i loro corpi. Poi si leverà il vento e il contagio della menzogna sparirà." [Parole di Tiresia]

di Eryka David

Il linguaggio è caratteristica propria dell'essere umano. Si riferisce ad eventi vicini ed eventi lontani nello spazio e nel tempo ed è in costante evoluzione, generando incessantemente espressioni non utilizzate in precedenza. Le parole sono però comprensibili solo se sono pronunciate all'interno di una società stabile, riconosciuta, e solo se ricevono consenso sociale. In questo contesto la linguistica ha il compito di storicizzare il "senso". Azione in parte sbagliata in quanto si arriva al punto in cui la condizione stessa di "Essere", di esistere, ha significato solo se supportata da una struttura linguistica.
Lo scopo originale del linguaggio è quello di permettere un confronto reciproco, libero, delle diverse opinioni, per affrontare e risolvere problemi comuni. Ma l'utilizzo del linguaggio ha in sé una potenza persuasiva tale da riuscire ad avvalersi di una manifestazione tipicamente umana per scopi che vanno contro l'umanità.
Uno degli stereotipi occidentali è quello di rapportarsi alla parola scritta quasi fosse un dogma, anche se tutti sanno che il "senso" può essere soggetto ad alterazione per eccesso, difetto o omissione di parole.
Alla luce di questi fatti, nei conflitti armati il narratore o il cronista dovrebbero evitare di condurre l'utente, attraverso un resoconto in qualche modo dettato dai gruppi di potere, verso l'idea che la storia sia dominata dal destino o, peggio, dalla casualità. La storia non è altro che il susseguirsi di scelte, in cui il caso non ha grande importanza. Tutto ciò è molto chiaro alle lobby che sono sempre uno scalino sopra le nostre teste e che continuano a presentare la guerra, attraverso l'informazione, come una situazione ludica, un "gioco" in cui gli orrori del conflitto vengono lasciati fuori dallo schermo o presentati in modo stumentale.
In Palestina si trovano degli occupanti riconosciuti illegali in gran parte solo dagli occupati. Le zone interessate vengono riproposte dai reporter ad eco mondiale come insediamenti, e anche come quartieri. Ma si tratta di vere e proprie "colonie".
Quindi, attraverso i vari media riceviamo sempre meno inform-azione e sempre maggiore in-formazione. Questo a causa dell'alterazione della realtà che ci viene trasmessa.
Un'altra incongruenza lessicale tra il "senso" e l' "oggetto" - che ha lo scopo di allontanarci dalla realtà - è il così detto "recinto" innalzato talvolta nei territori palestinesi, a difesa delle colonie israeliane. Termine fazioso che pretende di descrivere una struttura di cemento, filo spinato, rete elettrica e torri di controllo con cecchini che sconfina dal territorio israeliano finendo in Cisgiordania, elevandosi ancora più alto del muro di Berlino. Si può parlare di un ennesimo muro (non di un spazio circondato) che delimita tutto ciò che trova, comprese le libertà. Nasce così una guerra molto più astuta supportata dai mezzi di comunicazione, dove il "carnefice" ci appare con le vesti della "vittima", e dove la "vittima", scontrandosi anche contro il muro di gomma della manipolazione mediatica, si sente in dovere di vestire i panni del "carnefice".
Non è un caso che i media tentino, progressivamente, anche attraverso il linguaggio, di ridurre il livello di consapevolezza. Le notizie effimere sono mescolate a quelle drammatiche in un miscuglio indistinto in cui la notizia che conta è abbandonata a se stessa, con l'obiettivo di difendere il potere costituito o di ricavarci un profitto economico, perdendo così lo scopo dell'informare e della riflessione non condizionata. Per questo il giornalismo, televisivo e non, è diventato in questi anni un'arma efficace a favore della guerra.
Dovremmo pretendere di essere non solo fruitori del gossip di conflitto, ma dovremmo quanto meno pretendere di sentirci raccontare la verità, non in termini di sconfitta o vittoria ma in termini di fallimento totale della dignità umana.

 

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