Pubblicato su politicadomani Num 57 - Aprile 2006

La fabbrica del consenso
"Il postulato democratico è che i media sono indipendenti e hanno il compito di scoprire e di riferire la verità, non già di presentare il mondo come i potenti desiderano che venga percepito" (Noam Chomsky)

di Damiano Sansosti

L'informazione in Italia non è libera. A dirlo è una della organizzazioni americane più autorevoli: la Freedom House. Il rapporto, pubblicato il 3 maggio scorso, in occasione della giornata internazionale dell'informazione, declassa l'Italia, la Guinea e il Gabon da paesi liberi a parzialmente liberi. Quello che maggiormente preoccupa gli osservatori internazionali è che, per la prima volta dal 1988, viene messa in discussione la libertà di stampa di un paese europeo, e proprio quando agli altri paesi comunitari si riconosce il più alto livello di libertà di stampa del mondo. Ad aggravare la situazione dei media italiani, secondo Karin Deutch Karlekar, coordinatore del rapporto sul sistema dei media nel mondo, è "la posizione dominante del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che attraverso una pericolosa concentrazione di poteri, è in grado di esercitare indebite interferenze politiche nella gestione della Rai, essendo inoltre ancora proprietario dell'unico soggetto privato e controllando di fatto il mercato pubblicitario italiano". Il rapporto, oltre ad un conflitto di interessi mai risolto, punta il dito anche sulla legge Gasparri, bocciata come "legge tagliata su misura per aggirare una sentenza della Corte Costituzionale, sentenza sfavorevole agli interessi privati del Presidente del Consiglio".
Nel settore della carta stampata le cose non vanno meglio. Nel nostro paese i cinque grandi gruppi editoriali possiedono il 10% delle testate, diffondono il 52% di tutte le copie vendute e realizzano il 62% dei ricavi, monopolizzando, da soli, il 64% degli introiti pubblicitari dell'intera stampa. La diffusione giornaliera della stampa è ferma però inesorabilmente, dal 1980 ad oggi, alle sei milioni di copie vendute, uno dei dati più bassi del pianeta. In Inghilterra e in Germania legge il giornale un abitante su tre, in Olanda uno su quattro, in Francia uno su cinque, in Italia uno su dieci. Nel sud d'Italia uno su diciannove. Nonostante l'avvento dei quotidiani gratuiti, che raggiungono un milione di lettori, nel nostro paese la stampa tradizionale resta un fenomeno superficiale e marginale.
Come mai?
Basta aprire i due più letti quotidiani nazionali, la " Repubblica" e il " Corriere della Sera",
o collegarsi ai loro siti internet, per trovarsi, incredibilmente, di fronte a due entità perfettamente identiche nei temi, nei contenuti, nei commenti, nell'impaginazione, nella grafica. Quotidianamente siamo informati delle notizie più inutili. Fiumi di articoli di puro intrattenimento, bassa cultura, cronaca nera, pettegolezzo. Si riduce a spettacolo anche la politica che è invece, in uno Stato di diritto, in una democrazia, elemento determinante della quotidianità, è compagna dell'etica e della morale, è condizionamento inevitabile della vita di ognuno.
Esiste poi un'autocensura strisciante e pervicace, dovuta a ragioni economiche. Per non perdere fette importanti di introiti pubblicitari si arriva a svendere, con gli spazi pubblicitari, anche la propria identità ed i propri valori morali. Per esempio, Finmeccanica, azienda italiana a controllo statale ai primi posti nella classifica dei maggiori produttori di armi del mondo, nel 2000 ha preparato il suo ingresso in borsa con una campagna pubblicitaria milionaria di cui in molti hanno beneficiato, da "Liberazione" a "Repubblica", dall' "Avvenire" al "Manifesto", a "La Stampa". Tutti nel panorama della grande editoria nazionale hanno accettato l'allettante offerta, e si sono anche spesi in articoli pieni di lodi per le ottime qualità finanziarie del gruppo.
La tv, grazie al connubio "audio-video", rimane il mezzo d'informazione per eccellenza - in ogni famiglia sono presenti una media di due televisori - raccogliendo da sola in Italia il 56% delle risorse pubblicitarie dell'intero indotto mediatico. Nel resto d'Europa e negli Usa questa percentuale si attesta sul 30 massimo 32 per cento. Divenuta parte dell'arredo e della vita di tutta la popolazione, la televisione ha acquisito negli anni un vero e proprio ruolo sociale. Mostra, esalta, nasconde, censura, forma coscienze. Pura manifestazione di un mondo virtuale. Tesa a promuovere le più bieche ideologie neo-liberiste, contribuisce a mantenere improponibili dinamiche di mercato, primo fondamento dell'antidemocrazia. Fattrice di nuovi e inutili bisogni da soddisfare, è volta ad alimentare quell'inarrestabile processo di consumo, che ha come scopo di favorire il progressivo appiattimento dell' "opinione pubblica", come volgarmente le persone sono definite dai media e dal potere. Il mercato globale funziona in modo tale che la produzione di un qualsiasi bene non sia più l'espressione di una comune necessità di consumo, quanto piuttosto l'essenza stessa della dinamica capitalista. L'importante è convincere le masse dell' assoluta esigenza del prodotto da consumare. E a questo punto entrano in gioco i media.
Ogni due famiglie italiane, inoltre, ci sono due radio e un computer. Non sono i mezzi di comunicazione che mancano, è la comunicazione dei grandi media a non essere adeguata ai nostri bisogni. Esiste infatti un equivoco di fondo sul significato e sul valore dell'informazione. Il modo contemporaneo di fare informazione presuppone solo l'esistenza di un altro a cui indirizzare il messaggio. Un altro i cui bisogni pretende di forgiare. Una comunicazione corretta presuppone invece che l'altro sia non solo il destinatario del messaggio, ma anche un individuo pensante e capace di partecipare pertanto alla formazione del senso e quindi del messaggio stesso. Il messaggio diventa così la base della democrazia in quanto si trasforma in confronto e occasione di dialogo, contribuendo alla crescita etica e morale, comune e costante. Comunicazione, quindi, quale dottrina del pluralismo, della libertà d'espressione, della democrazia. E non come manipolazione mediatica per giustificare persino i più gravi crimini contro l'umanità.

 

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