Pubblicato su politicadomani Num 57 - Aprile 2006

Eritrea terra promessa ancora lontana
Condannata a non crescere
Panorami mozzafiato e disponibilità a investire nel turismo non bastano a cambiare lo stato di miseria e dolore a cui sembra destinata l'Eritrea

di Daniele Proietto

Per gli imprenditori italiani addetti al settore l'Eritrea ha tutte le carte in regola per diventare in breve tempo la nuova mecca del turismo internazionale, ricoprendo il ruolo appartenuto in questi ultimi anni alla paradisiaca Sharm el-Sheik. Gli ingredienti ci sono tutti, a partire dalla stupefacente bellezza offerta dagli scenari africani, fino alla non trascurabile accessibilità economica. Eppure quando l'imprenditore italiano che ha realizzato Sharm el-Sheik presentò al governo locale il progetto per la realizzazione di un centro turistico ubicato nello splendido arcipelago di Dahlak, fu costretto a tornare indietro senza aver raggiunto alcun accordo.
Di sicuro gli imprenditori italiani non possono essere rimproverati di mancanza di determinazione, al contrario, erano persino disposti a chiudere un occhio sul carcere-lager che sorge proprio sulle Dahlak (nell'isola di Nokra) pur di realizzare il loro progetto. Neanche tutta la loro buona volontà però, o se si preferisce tutta la loro brama di guadagno, è riuscita a superare gli ostacoli di un Paese allo sbando, segnato da vicissitudini storiche. Quanto all'attuale governo, ecco quello che dice il sottosegretario agli esteri Alfredo Mantica in un'intervista: "Conosciamo le scelte del presidente Issaias Afewerki, che rendono metà Paese povero quasi al limite della sopravvivenza. Obiettivamente dal 1998 la situazione è peggiorata dal punto di vista delle istituzioni, dei diritti umani, delle libertà democratiche e religiose". Già Amnesty international in un dossier del 2004 parlava di torture, detenzioni arbitrarie e sparizioni di dissidenti politici. Reporter Senza Frontiere aveva denunciato numerosi soprusi, come quello subito da 18 giornalisti incarcerati più di tre anni fa senza alcun regolare processo, o dal patriarca Ortodosso Antonios, costretto agli arresti domiciliari per aver criticato il regime. A queste storie denunciate dalle organizzazioni internazionali si aggiungono le migliaia di voci dei profughi eritrei che hanno chiesto asilo in Italia denunciando le ingiustizie di cui ogni giorno sono vittime i loro compatrioti. È il caso di Michael Kidane, residente in Italia e tra i fondatori della "Associazione degli eritrei in Italia", che racconta di studenti che, superato il quarto anno di istituto superiore, vengono trasferiti in massa a oltre 200 km di distanza, verso il confine con il Sudan e sono costretti a lavorare senza retribuzione alla raccolta nelle grandi piantagioni. Kidane parla di un altro grave problema che frena la rinascita del Paese: in Eritrea la leva è obbligatoria fino ai 40 anni e attualmente ci sono oltre 270 mila uomini impegnati nel servizio militare.
L'Italia è uno dei Paesi più impegnati ad evitare all'Eritrea l'isolamento internazionale. Tuttavia il governo di Issaias Afewerki ha preso decisioni che hanno influenzato negativamente anche la nostra politica estera. Alcune organizzazioni non governative italiane che da anni operavano con successo sul suolo africano sono state escluse dalla cooperazione con l'Eritrea perché considerate poco efficienti e, quindi, secondo il governo, sostituibili dalle autorità locali, non sempre però disinteressate. Nella lista nera non ci sono solo ONG, ma anche missionari. Fratel Amilcare Boccuccia, che è in Eritrea dal 1968, è stato costretto ad abbandonare i suoi progetti, tra cui la costruzione di una scuola agraria, a seguito del ritiro del permesso di soggiorno da parte delle autorità di Asmara.
I rapporti con l'Italia però non si sono interrotti del tutto. "Il presidente si è recato più volte a Brescia per comprare mine antiuomo, almeno fino al 2000" dice Michael Kidane. Un'affermazione che non sorprende se si considera che Afewerki investe il 20% del PIL del suo paese in spese militari: nell'acquisto cioè di armi destinate a mantenere e rafforzare il suo regime violento e repressivo.

 

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