Pubblicato su politicadomani Num 57 - Aprile 2006

Un bene indispensabile per tutti
Chiare, fresche... acque avvelenate
Quel sapore di cloro che ha l'acqua del rubinetto è dovuto alla disinfezione dell'acqua potabile prevista dalla normativa. Svanisce però velocemente: basta lasciare l'acqua per qualche tempo in una brocca. Molto più pericoloso è il consumo delle acque minerali e delle acque di sorgente per le quali non è previsto alcun tipo di trattamento. L'acqua minerale italiana è stata a lungo la più inquinata d'Europa, al punto che nel 1999 siamo incorsi in una procedura di infrazione. Anche i controlli non sono adeguati. Nonostante ciò continuiamo a bere acqua minerale

di Maria Mezzina

L'acqua del rubinetto
L'anticamera del cancro in un bicchiere d'acqua. È certamente un'esagerazione ma se i bicchieri sono molti e se l'acqua è ricca di nitrati il pericolo diventa reale.
Nello stomaco i nitrati si trasformano in nitriti e poi in nitrosammine, composti che favoriscono le malattie degenerative dei tessuti come il cancro. È per questo che il D.L. n.31 del 2 febbraio 2001 - "Attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano", dette potabili, e cioè l'acqua che esce dal rubinetto di casa - stabilisce che concentrazione di nitrati nell'acqua sia inferiore ai 50 mg/l (milligrammi per litro) per gli adulti e inferiore ai 10 mg/l per i neonati, e quella dei nitriti sia inferiore a 0,5 mg/l.
Gran parte delle città italiane soddisfano questi standard. Nella tabella 1 sono indicate le quantità di nitrati di alcune delle principali città.
Altre sostanze cancerogene sono l'arsenico e il cianuro, ambedue presenti nell'acqua. Non più di 10 µg/l (microgrammi per litro) di arsenico e non più di 50 µg/l di cianuro sono previsti per le acque potabili. Vietati, anzi vietatissimi - solo 0,10 µg/l - gli antiparassitari: insetticidi, erbicidi, fungicidi, nematocidi, alghicidi, rodenticidi, sostanze antimuffa e tutte le sostanze connesse o derivate.
Le tabelle con i valori percentuali di riferimento sono quelli della direttiva europea. Ma, precisa il D.L. n.31, all'art.11, sono di competenza statale eventuali modifiche delle percentuali, i metodi tecnici di rilevamento e di analisi, e la tecnologia degli impianti. Alla fine chi decide è il Ministero della Sanità, di concerto con il Ministero dell'Ambiente e sentiti i Ministeri dei Lavori pubblici, dei Trasporti e della navigazione, dell'Industria del commercio e dell'artigianato, delle Politiche agricole e forestali. Insomma, sentiti tutti e verificato che nessuno venga particolarmente danneggiato. Nessuno, a parte i comuni cittadini. Naturalmente le variazioni percentuali, si legge fra le righe dell'art.11, devono migliorare gli standard previsti, e non renderli solo più elastici
C'è poi il problema dei controlli, che - dice la legge - devono essere interni (del gestore del servizio idrico) ed esterni (delle ASL localmente competenti). Difficile dire però quanto controllati e controllori siano effettivamente indipendenti l'uno dall'altro, date le particolari competenze necessarie e in una situazione in cui sono privatizzati sia gli acquedotti sia la distribuzione delle risorse idriche.
Il 25 dicembre 2003 era il termine previsto per l'adeguamento delle acque potabili ai parametri europei (art.15). Ma poi, negli allegati, la data è spostata in avanti: al 25 dicembre 2008 per il bromato, e al 25 dicembre 2013 per il piombo. Fino ad allora possiamo allegramente continuare ad avvelenarci con due volte e mezzo la percentuale dei due metalli, da 10 µg/l a 25 µg/l.

L'acqua minerale
Meglio allora bere acqua minerale? Non proprio.
Il D.L. 31 chiarisce subito che la normativa non si applica alle acque minerali naturali (art. 3, "esenzioni"), per le quali ci sono norme meno restrittive, come risulta chiaro dalla tabella 2.
Il problema è che le acque minerali e le minerali naturali non possono subire alcun trattamento di depurazione. Come si legge nell'Art. 1 del D.Lgs. 105 del 25/01/92, " Sono considerate acque minerali le acque che, avendo origine da una falda o giacimento sotterraneo, provengono da una o più sorgenti naturali o perforate e che hanno caratteristiche igieniche particolari e, eventualmente, proprietà favorevoli alla salute".
La differenza fra l'acqua del rubinetto e l'acqua minerale è che la prima viene trattata con sostanze disinfettanti e la seconda no, perché non vada perduta la sua purezza originaria. Esistono tuttavia nelle acque minerali sostanze tossiche che potrebbero essere pericolose per la salute perché la loro concentrazione supera determinati valori massimi. Queste acque hanno infatti proprietà terapeutiche e, usate per un periodo limitato nel tempo, assolvono scopi curativi, ma, come ogni medicina, usate abitualmente potrebbero essere controproducenti. Emblematico è il caso della presenza di arsenico. Il limite massimo consentito è di 50 mg/l ma fino al 2001, secondo la legge italiana, le acque minerali potevano contenere arsenico fino a 200 mg/l. Altri casi clamorosi sono il manganese e il bario per i quali fino al 2003 non è esistito alcun limite, e certi altri metalli pesanti per i quali non esiste tuttora alcun limite.
Inoltre, fra le sostanze che si trasferiscono nell'acqua in seguito a lunghe filtrazioni sotterranee delle sostanze chimiche e microbiologiche presenti nelle rocce e nel terreno, ci sono anche quelle altamente tossiche dei prodotti chimici usati massicciamente per l'agricoltura che arrivano fino alle falde acquifere contaminandole.
Il fatto è che la martellante campagna pubblicitaria a favore di queste acque ci ha convinti all'uso quotidiano delle acque in bottiglia. Un comportamento il nostro poco meno che suicida che va ad arricchire le multinazionali dell'acqua.
Solo recentemente (2001) le autorità sanitarie internazionali hanno fissato limiti massimi per la presenza di sostanze nocive nell'acqua minerale. Ma l'Italia li ha in gran parte ignorati. È solo in seguito ad una precisa direttiva UE (16 maggio 2003) che dal 1 gennaio 2004 è obbligatorio indicare sulle etichette delle acque minerali le concentrazioni delle sostanze pericolose.
Il D.L. 105 dice espressamente che le acque minerali "vanno tenute al riparo da ogni rischio di inquinamento". Luce, temperatura ed esposizione all'aria prima e dopo l'imbottigliamento sono fattori critici. Specie perché le bottiglie sono di PVC o di PET, materiali chimici che, se esposti alla luce o ad alte temperature liberano sostanze dannose per la salute. Anche la temperatura alla fonte è un fattore di rischio e l'esposizione all'aria del liquido per il proliferare di microrganismi che potrebbero entrare nel contenitore o nelle bocchette di distribuzione. Tutte condizioni, queste, per le quali non c'è nessuna reale garanzia e che vengono anzi ampiamente disattese, specie d'estate, quando di acqua se ne beve di più.
I controlli previsti a garanzia delle acque minerali dovrebbero farsi almeno una volta ogni cinque anni, al cambio di etichetta. Poi, a discrezione delle regioni, controlli molto più frequenti andrebbero fatti alla fonte, all'impianto di imbottigliamento, ai depositi di distribuzione e ai punti di vendita. In realtà i controlli prescritti vengono fatti saltuariamente e solo per poche marche. Per la gran parte delle acque minerali, la composizione stampata sulle etichette è ormai vecchia di anni (tabella 3). La situazione è stata per anni talmente grave che nel 1999 l'Unione Europea ha avviato una procedura di infrazione contro l'Italia: le nostre acque minerali in bottiglia erano le più inquinate d'Europa.
Eppure nei supermercati fanno bella mostra di sé montagne di bottiglie di plastica piene del prezioso liquido.

 

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