Pubblicato su politicadomani Num 57 - Aprile 2006

Minerale o naturale
Il business dell'acqua è un ottimo affare
Un mercato più fruttuoso di quello del petrolio messo in piedi da una sapiente campagna pubblicitaria

di Maria Mezzina

Montagne di bottiglie di acque minerali. Gli italiani consumano più acqua minerale di tutti gli altri paesi europei. Con 182 litri annui a testa - contro una media di 103 litri in Europa occidentale - (i dati si riferiscono al 2003 e sono in aumento) alimentiamo un mercato che vede come protagoniste grandi multinazionali come Nestlè e Danone.
Fra le acque targate Nestlè distribuite in Italia ci sono: Claudia, Giara, Giulia, Lievissima, Limpia, Livia, Lora, Recoaro, Panna, Pejo, Terrier, Pracastello, San Bernardo, San Pellegrino, Sandali, Tione, Ulmeta, Vera.
Danone controlla il 9% del mercato mondiale delle acque minerali. Sono della Danone: Acqua di Nepi, Boario, Evian, Ferrarelle, Fonte Viva, Natia, Sant'Agata, Vitasnella.
Il numero di marche si è moltiplicato (287 marche nel 2003) ma gli introiti vanno a finire quasi tutti nelle casse di quattro o cinque colossi come San Benedetto, Rocchetta e Uliveto, oltre a Nestlè e Danone. Oltre 11 miliardi di litri, a un prezzo medio di 50 centesimi al litro, l'affare acque minerali vale, solo in Italia, oltre 5,5 miliardi di euro.
In realtà l'acqua ci costa molto di più del mezzo euro che in media paghiamo al supermercato e che incassano le ditte. Ci sono costi ambientali che pesano eccome sulle nostre tasche, oltre che sulla nostra qualità di vita. Le bottiglie di acqua sono per il 70% di plastica (PVC e PET): 1,5 milioni di tonnellate di plastica all'anno. Il processo di riciclaggio e di smaltimento di tutta questa plastica ha un prezzo che incide pesantemente sulle tasse per lo smaltimento dei rifiuti. Non solo. Pesa anche sulla salute: la fabbricazione e l'eliminazione delle bottiglie e degli imballaggi portano alla dispersione nell'ambiente di sostanze tossiche, mentre le bottiglie che vengono abbandonate per terra, nei fiumi e nel mare durano centinaia di anni. L'acqua imbottigliata in un luogo viene venduta e consumata anche a migliaia di chilometri di distanza, dove deve essere trasportata con enormi automezzi, che producono ulteriore inquinamento e degrado. Tutti costi che pesano sull'intera comunità.
Il business dell'acqua deve essere molto vantaggioso se in un solo anno, da gennaio a dicembre 2002, gli investimenti pubblicitari sono stati di quasi 300 milioni di euro (296.409.000 euro, fonte Nielsen). Con una maggioranza di investimenti sulla Tv (62%) e qualche briciola (14% e 10%) su quotidiani e periodici. Un fiume di denaro con il quale le multinazionali riescono a comperare il silenzio dei mass media. E infatti il business dell'acqua è vantaggioso almeno quanto il petrolio: solo qualche anno fa, infatti, con circa il 5,5% di controllo sulle riserve idriche le multinazionali dell'acqua avevano introiti pari a circa il 40% di quelli petroliferi (e nessun rischio collegato a guerre o sabotaggi). L'affare del secolo. Questo è diventato quello dell'acqua negli ultimi anni, con l'avanzamento dei processi di privatizzazione.
Negli Usa un litro di acqua in bottiglia costa più di un litro di benzina. In alcuni paesi, dove la privatizzazione degli acquedotti ha fatto lievitare i prezzi e ha reso l'acqua imbevibile, la gente è costretta a bere acqua minerale se vuole salvaguardare la propria salute. Da noi un litro di acqua minerale costa anche mille volte di più di quella del rubinetto.
A fronte di questi enormi guadagni, un litro di acqua viene a costare alla ditta cifre del tutto irrisorie (pubblicità a parte). In Lombardia, mentre i produttori pagano l'acqua 0,001 centesimi di euro al litro, la Regione spende due milioni di euro l'anno per lo smaltimento delle bottiglie di plastica. Ancora più ridicoli sono gli ammontari delle concessioni per lo sfruttamento delle sorgenti e delle falde acquifere: meno di 500 euro l'anno per la Ferrarelle in Campania, circa 860 euro per la San Benedetto in Abruzzo, 60 euro per l'acqua Lete a Caserta. Alcune amministrazioni comunali che hanno provato a chiedere di più - un centesimo per ogni litro di acqua - si sono sentiti rispondere che l'aumento non è previsto nella legge Decreto Regio del 1927 che ancora regola la materia.
Una situazione che è a tutto vantaggio delle imprese produttrici e a tutto svantaggio dei cittadini. Eloquente è il caso di Riardo, un comune della Campania. Qui la sorgente locale è stata data in concessione alla Ferrarelle (gruppo Danone) che imbottiglia due milioni di litri di acqua al giorno lasciando così a secco 2500 abitanti che ora debbono comprare ad un prezzo oltre mille volte superiore la stessa acqua che prima scorreva dai loro rubinetti.

 

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Num 57 Aprile 2006 | politicadomani.it