Pubblicato su politicadomani Num 56 - Marzo 2006

Diritti umani in Turchia
Visto per l'UE

di Damiano Sansosti

Sin dalla sua fondazione, quasi 50 anni fa, l'Unione Europea ha attirato un numero sempre crescente di nuovi Stati membri, fino allo storico allargamento che nel maggio 2004 ne ha portato il numero da 15 a 25. Condizioni necessarie per l'adesione sono un sistema democratico stabile, la garanzia dei diritti umani e della tutela delle minoranze, un'economia efficiente in grado di applicare le normative comunitarie. Bulgaria e Romania diventeranno membri dell'UE nel 2007 mentre nel 2005 sono iniziati i negoziati che nel giro di un decennio porteranno in Europa anche la Turchia e la Croazia.
La Turchia, Stato eurasiatico di importanza strategica, è firmataria del Patto di unione doganale con i paesi della Comunità Europea del 1996. Essa ha rappresentato il bastione difensivo dell'Occidente contro l'espansionismo comunista fino alla caduta dell'Urss. Successivamente - sfumato il sogno di un nuovo Stato Turco in stile Impero sulle ceneri della disciolta Unione Sovietica - è diventata argine dell'Occidente contro la diffusione dell'integralismo islamico, nonché pedina geopolitica fondamentale per controllare le immense risorse energetiche mediorientali e caucasiche. Per tutte queste ragioni l'entrata della Turchia all'interno del blocco europeo è motivo di grandi dibattiti.
Il governo turco, al fine di soddisfare i requisiti necessari per l'adesione all'UE, ha da poco introdotto nella propria legislazione una serie di riforme giuridiche e costituzionali riguardanti soprattutto il rispetto dei diritti umani quali l'abolizione della pena di morte, la modificazione delle norme sulla detenzione che prevedevano anche la tortura e i maltrattamenti, il riconoscimento di un indennizzo per le persone vittime del terrorismo, l'allontanamento degli esponenti dell'esercito dai settori dell'informazione e dell'educazione e, nel campo delle riforme giudiziarie, l'abolizione, per i responsabili di uno stupro, della possibilità di vedersi ridurre o annullare la condanna nel caso in cui questi accettino di sposare la vittima.
Nonostante l'impegno formale del governo di Ankara a cambiare radicalmente normativa e prassi per quanto riguarda i diritti fondamentali, ad oggi non risultano però sostanziali cambiamenti (la denuncia è di Amnesty International). Le violenze dell'esercito nelle questioni di ordine pubblico sono ancora all'ordine del giorno e negli ultimi mesi numerose persone sono state incriminate solo per aver espresso pacificamente le proprie opinioni. Il rappresentante ufficiale delle Nazione Unite per i diritti umani, che ha visitato la Turchia nell'ottobre scorso, ha espresso dissenso e preoccupazione per le azioni giudiziarie intraprese dall'amministrazione nei confronti di persone legate ad attività connesse proprio ai diritti fondamentali e alla libertà di espressione. Avvocati, medici, ambientalisti, giornalisti e sindacalisti continuano ad essere oggetto di vessazione giudiziaria, che raramente approda a sentenze di condanna penale, ma che spesso comporta il pagamento di pesanti sanzioni economiche o si risolve in provvedimenti amministrativi di natura professionale quali il licenziamento e la sospensione, e il trasferimento dal proprio luogo di residenza.
Problema ancora più grave è quello che riguarda la minoranza curda del paese. Continuano infatti nel Kurdistan turco azioni di guerriglia e terrorismo no-nostante il Kongra Gel (Congresso del popolo curdo), che ha sostituito il Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), abbia recentemente indetto una tregua unilaterale con l'esercito turco e nonostante il premier Erdogan si sia dichiarato disponibile al dialogo. La zona è fortemente militarizzata e il rischio di una guerra civile è reale e vicino. Negli anni dal 1984 al 1999 la contrapposizione tra Pkk e governo turco ha causato la morte di quasi trentamila persone, una vera e propria guerra. La cattura del leader curdo Ocalan, avvenuta il 16 febbraio 1999, ha reso il processo di pace ancora più difficile in quanto non esiste alcun esponente del Pkk che sia stato riconosciuto come suo legittimo successore. E mentre le azioni dei guerriglieri e dell'esercito si fanno sempre più sanguinose l'assenza di un leader rende difficile la gestione di tutta la questione.
Una situazione esplosiva rispetto alla quale occorrerebbe un deciso intervento della UE che vada ben oltre l'interesse di Bruxelles ad estendere i confini europei fino alle soglie del mondo mediorientale. Un intervento tanto necessario quanto difficile, sul quale si gioca il futuro della Turchia e dell'Unione Europea, un intervento che probabilmente, accanto alla decisione, richiede forme sofisticate e molto sottili di mediazione e tanta, tanta, pazienza.

 

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