Pubblicato su politicadomani Num 56 - Marzo 2006

Diritto al lavoro
Lavorare oggi … è possibile?
Voci (e numeri) contrastanti sul nuovo mercato del lavoro nato dalla riforma Biagi

di Chiara Comerci

Nel testo della legge 30, meglio nota come Legge Biagi, si legge che lo Stato ha voluto creare un "sistema efficace e coerente di strumenti intesi a garantire trasparenza ed efficienza al mercato del lavoro e a migliorare le capacità di inserimento professionale dei disoccupati e di quanti sono in cerca di una prima occupazione, con particolare riguardo alle donne e ai giovani".
A tre anni dalla data di pubblicazione della legge, e al di là degli specchietti informativi sulla tipologia nuova del contratti che la riforma ha introdotto, è ancora troppo presto per capire l'esatta portata di questo cambiamento così importante nel mercato del lavoro.
Le statistiche si susseguono senza sosta, anche in evidente contraddizione tra loro. Capita di leggere che in Italia l'occupazione è cresciuta di molte unità percentuali, ma si tace sul fatto che per tale statistica basta aver lavorato un'ora alla settimana per essere occupati: paradossi della matematica (o dell'Istat).
La realtà è che la riforma, se è vero che ha introdotto nel mercato italiano la flessibilità richiesta oggi dal lavoro, d'altro canto ha dato il via libera ad una "cultura del precariato" che fa del contratto a progetto, di somministrazione, del lavoro a chiamata, per esempio, la normalità. Il mondo del lavoro diventa così una "terra di nessuno" in cui il posto fisso o l'impiego stabile diventano miraggi, influendo negativamente sulle giovani generazioni che si accingono alla ricerca di un'occupazione.
Su questa situazione nuova vanno ad innestarsi i problemi che da sempre assillano l'inoccupato (in cerca di prima occupazione) - spaesamento dovuto ad una nuova realtà, richiesta di esperienza da parte del datore di lavoro, lavoro in nero, colloqui a vuoto, e quant'altro - o il disoccupato - età, concorrenza giovanile, necessità di reinserimento ecc... Molti ricorrono alla formazione: oggi l'offerta di corsi formativi è molto variegata grazie anche all'utilizzo dei fondi della Comunità Europea. Sfortunatamente non sempre i finanziamenti europei vengono usati bene da chi propone i corsi, e oltre a questo c'è un atteggiamento sbagliato degli allievi, che non sempre comprendono l'importanza di questi corsi. Di vitale importanza è lo stage finale, fondamentale per acquisire esperienza nei rapporti di lavoro e per creare contatti utili, ma che spesso non prevede rimborso spese e raramente diventa un'assunzione, oppure si risolve in uno sfruttamento dello stagiaire per attività poco qualificanti e non formative come ad esempio fare le fotocopie.
Ma torniamo al testo della legge citato in apertura, che sosteneva di incentivare il lavoro femminile e giovanile. Apprendiamo da un rapporto Ires (Cgil) che le donne subiscono una vera e propria discriminazione: risultano generalmente più istruite degli uomini (25% sono laureate contro il 7,8% dei colleghi uomini) ma, nonostante il titolo di studio, sono prevalentemente occupate con contratti a tempo determinato o atipici e percepiscono retribuzioni sensibilmente inferiori. Lavora a tempo indeterminato il 33,7% delle donne contro il 59,1% degli uomini. Ma è soprattutto in merito alla retribuzione che si avverte l'iniquità più marcata: il 70,1% delle donne guadagna meno di 1.000 Euro contro il 51, 6% degli uomini. I dati della Cgil sono sicuramente in contrasto con quanto affermato dall'Istat: "come è facile immaginare, quanto maggiore è stato l'investimento in formazione tanto più alta è poi la propensione a entrare nel mercato del lavoro. Inoltre, al crescere del livello di istruzione, si attenuano le differenze di genere che penalizzano le donne. Così, la distanza tra tassi di attività maschili e femminili, che è molto elevata tra quanti sono in possesso del solo titolo dell'obbligo, si riduce per i giovani laureati. In sostanza, siamo di fronte a una profonda trasformazione sociale: un numero crescente di giovani (soprattutto donne) vuole lavorare; questa volontà di entrare nel mondo del lavoro è tanto maggiore quanto più è alto il titolo di studio posseduto; al crescere del livello di istruzione si attenuano in parte le differenze di genere e tra le diverse aree del Paese dal punto di vista delle performance sul mercato del lavoro." (Università e lavoro: Statistiche per orientarsi)
Per quanto riguarda i giovani, chi scrive, con il suo bagaglio di esperienze personali (e non), può testimoniare di persona il senso di instabilità riguardo al futuro che colpisce questa categoria, e la gravità della condizione italiana del lavoro che più di una rilevazione mette in evidenza. Nel rapporto dell'Ires si sottolinea che la prima aspirazione dei giovani lavoratori è la stabilità, la cui assenza viene sentita come una fonte notevole di ansia e stress. Solo al secondo posto, distanziato, c'è l'aumento delle retribuzioni. A questa situazione si aggiunge l'inflazione: nel periodo 2001-2005 l'Eurispes ha calcolato una crescita complessiva del 23,7% con una perdita di potere d'acquisto delle retribuzioni pari al 20,4% per gli impiegati, al 14,1% per gli operai, al 12,1% per i dirigenti e all'8,3% per i quadri.
I portali di scambio tra domanda ed offerta di lavoro hanno delle ottime potenzialità che però non sono realmente di aiuto: mandare il proprio curriculum significa non ricevere quasi mai risposta alle proprie inserzioni. I centri per l'impiego di Roma non sono collegati in rete (bisogna telefonare all'incaricato per essere informati sulle novità e sugli annunci), e la tanto decantata Borsa Continua Nazionale del Lavoro online (della quale circolano già pubblicità in radio), nata dalla legge 30, ha raggiunto ben poche regioni: il sito è di difficile navigazione ed è carente riguardo ai servizi per l'utenza.
A fronte di tanta incertezza entrano in gioco meccanismi che sono profondamente radicati nella cultura italiana: nella maggior parte dei casi al posto si arriva per conoscenza, in barba a tutti i portali - a pagamento o meno -, alle statistiche e ai centri per l'impiego.

 

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