Pubblicato su politicadomani Num 56 - Marzo 2006

editoriale
Guardare avanti e possibilmente dimenticare

di Maria Mezzina

A poche settimane da un voto che dovrebbe segnare una svolta radicale nella nostra politica ci permettiamo di fare un bilancio. Un governo andrebbe giudicato, dati alla mano, per quello che ha fatto e per i processi più o meno virtuosi che è stato capace di mettere in moto. Ogni governo ha infatti interesse a dare il meglio di sé facendo scelte che possono anche non essere condivise e a difendere queste scelte, e ha il diritto di proporre strategie per completare il lavoro iniziato. Se fossimo un paese normale è su questi dati e su queste strategie che, sotto elezioni, si dovrebbe aprire il confronto.
Ma non siamo un paese normale. Per il futuro del nostro paese è diventata primaria un'altra questione che è un po' un gioco di ruoli: il ruolo del capo dell'esecutivo, quello del governo, quello del parlamento e quello della gente. La questione si chiama democrazia e partecipazione. "Governare" è ben diverso da "comandare". Altrettanto importante, poi, è anche il modo in cui un governo si pone nei confronti della comunità. Si tratta di rispetto e di educazione, qualcosa che tocca profondamente la sensibilità della gente più moderata. Inoltre, mentre fra uguali il rapporto è paritario, il rapporto fra la popolazione e chi detiene il potere di condizionarne la vita e le speranze è molto più complesso. Sono indispensabili autorevolezza e credibilità, coerenza e disponibilità all'ascolto e al dialogo. Occorre umiltà.
È su questo fronte che il bilancio degli ultimi anni è stato fallimentare. La politica fatta di imposizioni che vengono dall'alto senza il coinvolgimento della gente è prevaricazione. Concertazione, partecipazione e democrazia sono i nomi di questo coinvolgimento. È così che si costruisce il futuro e la serenità di un paese. È una questione di libertà autentica. Non quella che si esaurisce nel nome di un partito, in uno slogan propagandistico o in uno spot elettorale.
Questa legislatura è stata da incubo. Scioperi a raffica. Manifestazioni e cortei: contro la guerra, a difesa del lavoro, contro lo sconvolgimento ambientale, a favore della legalità e contro la mafia. Linguaggio e modi volgari. Stampa e Tv sotto accusa e imbavagliate. Atteggiamenti provocatori e pericolosi. È stato dissipato un patrimonio di valori e sono stati bruciati decenni di paziente lavoro di mediazione e di avvicinamento al mondo islamico. La conflittualità è cresciuta di intensità ed è diventata regola. L'altro viene identificato come rivale, avversario, nemico. Sono state approvate leggi che stravolgono la Costituzione. Colpendo l'autorità e l'indipendenza dei giudici è stata umiliata la Giustizia. Sono stati depenalizzati i reati finanziari, rubate le speranze ai giovani, mortificata la nostra vocazione alla pace. E mentre la nuova legge elettorale segna il trionfo della partitocrazia, noi siamo stati defraudati perfino della libertà di scegliere i componenti del nuovo parlamento.
In un paese normale si parlerebbe di programmi, si farebbero domande, si discuterebbe sulle cose fatte e non fatte (magari dicendo anche qualche bugia). Questo in un paese normale. Ma l'Italia non è più un paese normale. È ora che ritorni ad esserlo.

 

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Num 56 Marzo 2006 | politicadomani.it