Pubblicato su politicadomani Num 55 - Febbraio 2006

Banditismo siciliano
Salvatore Giuliano
Lo Stato contrattò con la mafia la fine di Giuliano, che fu tradito dal suo luogotenente Pisciotta, ucciso nel sonno e consegnato alla polizia. Quando quest’ultimo, dal carcere di Palermo, si mostrò disposto a rivelare alcuni scottanti retroscena, fu ucciso con un caffè alla stricnina.

di Damiano Sansosti

È il 2 settembre 1943, frazione di Quarto Mulino alle porte di Palermo. In Sicilia a quei tempi si muore di fame. Una pattuglia di carabinieri nascosta in un boschetto di vimini fa un posto di blocco. È quasi buio, sono le cinque di sera. Arriva un carretto. A bordo un uomo e un carico di grano. La circostanza è sospetta e l'uomo viene fatto scendere. Potrebbe fare "l'intrallazzatore", rivendere cioè il grano a prezzi superiori a quelli stabiliti e controllati dal governo, e i carabinieri vogliono sapere chi gliel'ha dato. Mentre gli vengono requisiti i documenti passa un altro carretto e nella confusione l'uomo tenta di scappare. L'appuntato Mancino, che lo tiene sotto tiro con il suo fucile, spara e lo ferisce al fianco, ma l'uomo è armato, spara anch'esso e colpisce il militare al cuore. Riesce quindi a scappare ma è gravemente ferito. Il carabiniere, invece, è morto e nelle sue mani sono rimasti i documenti del suo assassino.
Passano 7 lunghissimi anni..
Rapporto numero 213/24 del 9 luglio 1950, firmato dal capitano dei carabinieri Antonio Perenze e indirizzato al Comando forze repressione del banditismo in Sicilia, Gruppo squadriglie centro. Sono le 3,15 del mattino, siamo a Castelvetrano in provincia di Trapani. Tre uomini, che non sanno della presenza di un gruppo di carabinieri appostati nei dintorni, scendono per una stradina del paese. Un carabiniere fa rumore, i tre se ne accorgono. Due scappano facendosi largo a colpi di mitra, l'altro non ce la fa. Passa a capo scoperto sotto la luce di un lampione, i carabinieri lo riconoscono. Inizia una feroce sparatoria: 40 i colpi esplosi dal bandito, 191 dai carabinieri. L'uomo fugge verso il cortile di casa De Maria, avvocato, noto e controverso personaggio della zona, e lì viene freddato proprio dal capitano Perenze.
Così inizia e finisce la storia del più famoso bandito d'Italia, Salvatore Giuliano che in sette anni di latitanza ha causato 106 morti tra le forze dell'ordine - 4 soldati dell'esercito, 81 carabinieri e 21 poliziotti - e 42 vittime civili.
Ma cosa succede in questo lasso di tempo in Sicilia? E chi è realmente Salvatore Giuliano? E perchè, come in seguito si saprà, il rapporto del capitano dei carabinieri è falso?
Giuliano deve la sua fama (su di lui sono state scritte innumerevoli biografie) al fatto che la sua vicenda si collega con eventi politici destinati a segnare profondamente la storia della Sicilia e dell'Italia del secondo dopoguerra, ponendosi come chiave di lettura dei difficili equilibri che caratterizzano ancora oggi la società italiana.
Sono questi infatti gli anni della occupazione americana (iniziata nel luglio 1943 con la liberazione dal fascismo), della rapida ascesa e l'altrettanto rapida eclissi del movimento separatista siciliano; gli anni della nuova mafia, quella a favore dei proprietari terrieri e contro i contadini poveri, che dopo la lunga parentesi del fascismo torna a tessere le sue trame di potere e di morte. Sono gli anni delle stragi, della fame nera; gli anni degli omicidi politici, delle smentite, delle bugie, dei segreti di Stato; sono gli anni dei servizi segreti infiltrati e deviati. Ma questi sono soprattutto gli anni in cui in Sicilia è stata teatro di una vera e propria guerra, con il popolo a recitare, da solo, il ruolo di vittima sacrificale.
Sono anche gli anni del Cfrb (Corpo forze repressione banditismo), agli ordini del colonnello Ugo Luca e costituito da 26 ufficiali dei carabinieri e 16 di pubblica sicurezza, 1500 carabinieri e 500 poliziotti distribuiti in 4000 km quadrati di terra siciliana divisa in 70 zone controllate da squadre e comandi intermedi. Il Cfrb aveva il difficile compito di riportare ordine in Sicilia e piegare quella terra riottosa ad accettare di essere una regione italiana. Perché, come scrive Salvatore Giuliano al Presidente Truman: "Nel 1944 i muri della maggior parte delle città siciliane furono coperti di manifesti in cui si vedeva un uomo (io stesso) che taglia la catena che tiene la Sicilia legata all'Italia, mentre un altro uomo, in America, tiene un'altra catena a cui è unita la Sicilia. Quest'ultimo è il simbolo della mia speranza che la Sicilia venga annessa agli Stati Uniti. Il tentativo dello Stato è quello di tagliare la catena che nei manifesti siciliani vede l'isola attaccata agli Stati Uniti. Ci occorre la cosa più essenziale, il vostro appoggio morale. Voi potreste, ed a ragione, chiedere: "Qual'è il fattore più importante che vi spinge a questa lotta per la separazione dall'Italia? Ed inoltre perché volete che la vostra splendida isola diventi la 49a stella americana? Perché in 87 anni di schiavitù all'Italia, siamo stati depredati e trattati come una misera colonia." Il bandito Giuliano un eroe del movimento separatista, quindi? Forse. Un eroe scomodo, però.
Il personaggio Giuliano in questo contesto svolge una funzione simbolica raggiungendo la notorietà internazionale quale brigante che lotta per la giustizia anche contro la legge, nell'immaginario romantico comune. Egli però non ebbe mai una percezione politica e ancor meno una visione strategica degli avvenimenti con i quali la sua personale vicenda andava intrecciandosi. E fu infatti strumentalizzato politicamente da ogni parte e, alla fine, schiacciato dagli eventi. Da eroe del popolo a traditore che spara sui contadini a Portella delle Ginestre. Da traditore a vittima di un complotto di Stato.

 

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