Pubblicato su politicadomani Num 55 - Febbraio 2006

Cinema e omologazione
Quando le commedie fanno comodo
Una legge sulle "referenze" per accedere ai finanziamenti pubblici impedisce l’affermarsi di giovani registi e forme di cinema alternativo. ritorna la paura dell’intelligenza e della creatività

di Fabio Antonilli

Qualche anno fa, proprio dalle colonne di questo giornale, parlavamo di una possibile rinascita del filone realista nel cinema italiano. Eravamo nel bel mezzo di una stagione cinematografica ricca di film d'autore, di conseguenza il nostro, forse eccessivo, entusiasmo era più che mai giustificato.
Giova ricordare solo alcuni tra questi film, come "Alla luce del sole" (2005) di Roberto Faenza, sul sacrificio di Don Pino Pugliesi, ucciso dalla mafia nel quartiere Brancaccio di Palermo; "I cento passi" (2000) di Marco Tullio Giordana, sulla vita e le lotte di Peppino Impastato ucciso tragicamente dalla mafia; e "La meglio gioventù" (2003) dello stesso autore, che ripercorre trent'anni della nostra storia, dalle battaglie per i diritti civili ai nostri giorni, passando per gli anni di piombo. Altre pellicole hanno affrontato tematiche coraggiose ed attuali, come la precarietà del lavoro e il degrado sociale di oggi: così "Il posto dell'anima" (2003) di Riccardo Milani che racconta di un gruppo di operai in lotta, contro una multinazionale, per evitare la chiusura dello stabilimento in cui lavorano, e contro l'indifferenza dell'opinione pubblica che dinanzi agli scioperi e alle vivaci proteste dei lavoratori si domanda cinicamente "ma gli operai esistono ancora? non erano scomparsi?" E anche "Mobbing - Mi piace lavorare" (2004) di Cristina Comencini, sul fenomeno del licenziamento "provocato", preceduto cioè da uno stillicidio di comportamenti e atti volti prima ad umiliare e poi ad isolare la persona.
Senza dimenticare quelli che sono veri e propri film-coraggio, sia per contenuti, sia per i circuiti di distribuzione deboli attraverso i quali sono apparsi nelle sale. Così "Pater familias" (2003) di Francesco Paterno, "L'imbalsamatore" (2002) di Matteo Garrone, "Vento di terra" (2004) di Vincenzo Marra, "Nemmeno il destino" (2004) di Daniele Gaglianone - tutti sul degrado delle periferie delle grandi città -, e il provocatorio "Piazza delle cinque lune" (2003) di Renzo Martinelli che rilegge la vicenda della morte di Aldo Moro in una prospettiva per nulla omologata.
Ora, se il cinema da qualche tempo non ci racconta più la "verità" ci dovrà pur essere una ragione. Forse perché la realtà è troppo scomoda per essere raccontata attraverso il cinema al pubblico di tutta Italia, un pubblico che è fatto di milioni di spettatori che osservano, si fanno un'idea, criticano; Ma soprattutto a ridosso delle elezioni rischierebbero di essere, per i partiti che attraverso lo Stato decidono a chi concedere i finanziamenti, investimenti per così dire "a perdere".
Gli anni '50 sono ormai lontani. Allora i registi del filone neorealista del secondo dopoguerra dovettero abbandonare le cineprese nelle cantine perché il loro cinema dava "un'immagine negativa del Paese all'estero". Così si diceva all'epoca. Allora la censura era sempre dietro l'angolo pronta a colpire ogni film che, proprio perché era in sé la fotografia della realtà, costituiva un "j'accuse" feroce e senza sconti dei tanti (troppi) interessi e privilegi della società oligarchica post-fascista, volta a conservare se stessa e per niente incline a rischiare di essere messa in discussione.
Eppure ben poco sembra cambiato da allora se si pensa che anche oggi, anno domini 2006, nell'Italia dei privilegi dei "pochi", nei salotti bene del potere dell'Italia conservator-reazionaria, qualsiasi strumento che veicoli e diffonda qualunque tipo di cultura non etichettabile con apposito marchio di conformità rimane ai margini. Illuminante in proposito è la recente legislazione in materia: quella legge n. 28 del 2004 che introduce il criterio del "reference system", per il quale cioè bisogna avere determinate "referenze" per accedere ai finanziamenti pubblici. Nelle intenzioni della legge le referenze risulterebbero dai curricula dei registi e degli sceneggiatori che nel recente passato hanno prodotto cinema di qualità e cinema capace di catalizzare l'attenzione del pubblico. Ma chi giudica, chi decide? E perché sbattere le porte in faccia ai tanti che si affacciano al mezzo cinematografico come strumento di espressione? Nell'Italia delle caste e degli intoccabili un sistema del genere non può far altro che provocare appiattimento e omologazione, rigettando chiunque voglia fare del cinema d'essai o anche indipendente. Per farla breve, è il concime adatto alle piante "cattive".
Se poi consideriamo che la differenza tra la TV pubblica e quella privata è diventata solo una questione di canone, e che i reality-show sono l'unica verità che il pubblico è disposto a sentirsi dire, è facile comprendere come anche nelle sale cinematografiche la qualità delle opere rischia di abbassarsi vertiginosamente fino a scendere ai livelli di "Vacanze di Natale", l'ultima "novità" delle feste appena passate.

 

Homepage

 

   
Num 55 Febbraio 2006 | politicadomani.it