Pubblicato su politicadomani Num 55 - Febbraio 2006

Le nostre carte vincenti
Ok il "made in italy"
Il nostro paese non merita la pessima reputazione che ha a livello internazionale. La situazione economico-finanziaria non è allo sfascio. Nonostante i danni (reali e di immagine) di un quinquennio di sciagurato governo, la parte sana del paese ha retto e l'economia è pronta a riprendere fiato, Purché ci si liberi della zavorra e si torni a lavorare sul serio, Insieme, ciascuno per la sua parte

di Maria Mezzina

"Dott. Vitale, io ho due figli universitari che studiano all'estero. Tutti e due mi chiedono: papà cosa sta succedendo in Italia? Cosa posso rispondere?" È in questo modo che il Presidente della Bipiemme Gestioni (Banca Popolare di Milano), Marco Vitale, ha esordito nel suo intervento di chiusura dell'intensa mattinata del 7° Forum su Economia e Risparmio della BPM, sabato 21 gennaio a Milano.
In Italia ci sono moltissimi imprenditori onesti che stanno lavorando duro per portare questo paese fuori della palude in cui si trova, e la maggior parte delle banche e di coloro che operano nell'economia e nella finanza sono persone corrette. È così che a quel padre ha risposto Vitale. La risposta è la sintesi fotografica di tutta una serie di dati che economisti e studiosi sono andati via via presentando nelle relazioni della mattinata.
Anche Alberto Quadrio Curzio, Preside della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, aveva concluso nello stesso modo il suo intervento. Il Preside della Cattolica parlando dello scenario economico-finanziario italiano si era soffermato sulla economia reale, in particolare quella manifatturiera. Il quadro d'insieme è positivo: quasi cinque milioni di addetti; il 65% del settore riguarda prodotti "made in Italy" che il mondo ci invidia, moda, arredo-casa, alimentari e meccanica occupano complessivamente 3.167.552 lavoratori*; il settore copre il 57% di tutto l'export italiano; il saldo con l'estero è in attivo per 80 milioni di euro. Tutta questa gente che lavora in un gran numero di imprese medie e piccole costituisce l'ossatura, lo zoccolo duro dell'economia italiana.
Questo mondo di piccole e medie imprese ha bisogno di essere sostenuto con normative che ne favoriscano lo sviluppo e non ne appesantiscano l'esistenza, più che di sostegni di tipo economico e finanziario. Soprattutto occorrerebbe evitare di premiare con condoni di ogni genere comportamenti quanto mai scorretti e illegali di altre imprese che oltre a fare in questo modo una concorrenza sleale alle imprese sane e corrette, inquinano irreparabilmente il tessuto sociale del paese. L'entrata dell'Italia nell'euro ha stabilizzato l'inflazione: dal 18 e oltre per cento negli anni peggiori è scesa al 2-2,5% attuale, probabilmente un poco superiore ai dati ufficiali, ma fondamentalmente in linea con quella nel resto dell'Europa. Netto il vantaggio sui costi delle materie prime che senza l'euro sarebbero lievitati a punto da condannare a sicura estinzione tutte queste imprese.
Anche il rispetto dei parametri di Maastricht (il rapporto fra debito pubblico e Pil inferiore al 3%) contribuisce a promuovere un'economia in buona salute, favorendo così lo sviluppo della parte più sana del nostro sistema produttivo. Il rapporto deficit/Pil è una frazione e, come sanno anche i ragazzini delle scuole medie, il valore di questo rapporto è tanto più basso quanto minore è il numeratore (deficit) e quanto più alto è il denominatore (Pil).
Perché questo sia possibile Quadrio Curzio suggerisce due strade:
- Diminuire il deficit di bilancio facendo fruttare il grande patrimonio di proprietà dello Stato e degli altri enti pubblici, collocandolo sul mercato. Non si tratta però di vendere, precisa Curzio, perché in operazioni di questo genere il rischio di "svendere" è reale e una privatizzazione che risultasse in una svendita per lo Stato e in difficoltà per i cittadini sarebbe un evento disastroso e drammatico. Si tratta invece di studiare altre forme di "messa a reddito" che vanno approfondite, fatte conoscere e realizzate con il più ampio consenso di tutte le parti, cittadini compresi, (aggiungiamo noi).
- Aumentare il Pil. Ma questo vorrebbe dire destinare molto di più del misero 1,16% del Pil (contro una media europea del 1,93% del Pil, Europa a 15**) in ricerca e sviluppo; significa privilegiare la produzione "selettiva", rivolta cioè a forme di produzione e di impresa in grado di investire in prodotti di qualità di cui vi è domanda sul mercato internazionale. È profondamente sbagliato cercare di competere con paesi come la Cina che sono in grado di immettere sul mercato enormi quantità di merci a prezzi irrisori, complice il bassissimo costo del lavoro. È noto come in quell'immenso paese - ma anche da noi, nel bel paese - i lavoratori siano sottoposti a condizioni di lavoro spesso al limite della schiavitù. Competere sullo stesso terreno equivarrebbe a cancellare una tradizione di diritti sul lavoro acquisiti con decenni di lotte sindacali a volte drammatiche che hanno portato ad una coscienza dei diritti della persona ormai irrinunciabile, e ad un incontestabile miglioramento delle condizioni di lavoro.
La nostra carta vincente è puntare sul "made in Italy" di alta qualità, certificato e garantito. I tanti centri di ricerca esistenti in Italia dovrebbero fare molta più ricerca applicata, oltre che ricerca di base. La pochezza delle risorse disponibili non deve diventare un alibi per trascurare questo tipo di ricerca.
Certo, occorre un radicale cambiamento di prospettiva da parte di chi ci governa. Il quinquennio passato, per il quale in sala è stato usato il termine "sciagurato", andrebbe superato velocemente e in questi ultimi mesi che ci separano dalle elezioni, si dovrebbe parlare di questi problemi e di come si intende affrontarli, insieme a tanti altri problemi come scuola, sanità, pensioni, traffico, trasporti, energia, ambiente, tanto per citarne solo alcuni, che attendono da tempo di essere seriamente affrontati. Invece lo spettacolo squallido e mortificante che i nostri burattinai della politica danno sulla scena nazionale e internazionale è lontano mille miglia dalla realtà del paese: un paese in difficoltà; un paese che nell'incertezza per il proprio futuro si scopre di cattivo umore; ma pur sempre un paese fondamentalmente sano e operoso e che risulta tale in tutti gli studi seri che sono stati fatti sulla economia italiana.
Spegniamo quindi per i prossimi tre mesi la televisione - come suggerisce Marco Vitale, che per questa sua proposta ha ricevuto entusiastici applausi - e cerchiamo di riscoprire il paese reale, quello di cui andare fieri. È di questo paese che possiamo e dobbiamo parlare con orgoglio ai nostri figli e ai nostri nipoti. È questo il paese che necessita del serio impegno di ognuno.

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* Elaborazione della Fondazione Edison su dati Istat.
** I dati sono del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca

 

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