Pubblicato su politicadomani Num 54 - Gennaio 2006

Per non dimenticare un genocidio
L'eliminazione e la diaspora degli armeni
Uno dei nodi insoluti (e poco conosciuti) della storia contemporanea

di Maria Mezzina

Croci di pietra. Tante. Disseminate su tutto il territorio rupestre, sono un elemento tipico del panorama culturale e artistico dell'Armenia. Talmente belle e intrise di storia divengono il simbolo del popolo e del destino stesso di questa nazione. Gli anni fra il 1915 e il 1918 sono incisi come un taglio profondo nella storia degli orrori che segnano la storia recente. La memoria però è corta e spesso selettiva. Sono gli anni del Metz Yeghern, il "Grande Male". È così che gli armeni chiamano il genocidio che ha segnato la fine della presenza delle genti armene nella loro terra d'origine, l'Anatolia, nella quale erano vissute per millenni.
La loro esistenza non era mai stata facile, ma almeno fino all'ottocento erano vissuti in relativa tranquillità e, soprattutto, avevano conservato la loro identità religiosa e culturale. La situazione precipitò nella seconda metà del secolo, al decadere economico, politico e militare dell'impero ottomano, proprio quando si apriva per gli armeni la possibilità di rientrare in possesso della loro identità nazionale. Già i greci si erano liberati del giogo dell'impero e gli armeni cristiani si stavano preparando a seguirne l'esempio. Sorsero ben presto fra gli armeni partiti clandestini che avevano come scopo la conquista dell'indipendenza dall'impero ottomano. Le potenze occidentali assistono con interesse alle vicende dell'impero e non esitano ad inserirsi nei suoi affari interni sostenendo i movimenti rivoluzionari e pretendendo riforme interne economiche e costituzionali. Il regime feudale turco è al collasso e le pressioni dei paesi occidentali sul governo della Porta sono proporzionali all'interesse dei medesimi a strappare al gigante in agonia ricchezze e territori. In realtà l'economia dell'impero è quasi tutta in mani straniere occidentali e nelle mani degli armeni che con gli occidentali hanno ottimi rapporti commerciali. Sono loro i grandi artefici dello sviluppo economico dell'impero ottomano di cui detengono ingenti ricchezze. Forti del loro potere economico e spinti dai movimenti nazionalistici nascenti, gli armeni premono per ottenere riforme volte a riconoscere i loro diritti e a tutelare le proprie esistenze, la loro vita e i loro beni.
Le richieste degli armeni sono soffocate nel sangue: il sultano Abd al-Haziz risponde con massacri di massa. Il movimento rivoluzionario dilaga, specialmente fra i giovani, e non può essere fermato. Nel 1876, in seguito ad una grande manifestazione - 40.000 persone a Istanbul erano scese in piazza per chiedere una monarchia costituzionale e la fine del sistema feudale -, il nuovo sultano Abdul-Hamid II (1876-1909) è costretto a concedere la costituzione. Alla manifestazione aveva partecipato anche una nuova organizzazione politica segreta, i "Giovani Turchi". Due anni dopo il sultano dichiara nulla la costituzione concessa e respinge un tentativo della Russia di penetrare il territorio turco con il pretesto di difendere gli armeni. La reazione di Abdul Hamid è violentissima. Nei massacri degli anni dal 1895 al 1897 muoiono dai 100.000 ai 300.000 armeni, 2.500 villaggi sono dati alle fiamme, la popolazione dispersa. Eppure queste uccisioni non sono del tutto indiscriminate; il sultano vuole difendere dal nazionalismo dirompente l'unità dell'impero e cerca, inoltre, di attribuire all'attivismo commerciale degli armeni, che mantengono relazioni con tutti i paesi occidentali, la causa della sua decadenza economica. Non è ancora genocidio ovvero sterminio programmato e pianificato di un intero popolo al fine di cancellarne completamente e definitivamente l'esistenza.
Il genocidio avverrà negli anni della guerra mondiale ad opera del governo dominato dai Giovani Turchi, il partito rivoluzionario e ultranazionalista che nel 1908 si era impadronito del potere. Organizzati formalmente nel Comitato Unione e Progresso, "Ittihad ve Terakki" (sostenuto inizialmente dagli stessi armeni, che dalla sua ascesa al potere speravano in migliori condizioni per se stessi), i Giovani Turchi decidono di trasformare l'impero ottomano - tradizionalmente caratterizzato da componenti multietniche e multiculturali - in una realtà nazionale fortemente unitaria: la nazione turca. Lo scopo era lo stesso che aveva guidato i massacri degli ultimi sultani: sopprimere le istanze indipendentiste delle minoranze interne per evitare il totale dissolvimento dell'impero.
"L'Europa inorridì ma la mancata unione tra diplomazia inglese (misure coercitive verso la Turchia) e quella russa (diffidenza verso un'Armenia autonoma) permise la prosecuzione della carneficina… La situazione si aggravò per l'inserirsi del nazionalismo dei Giovani Turchi: si ebbero così il massacro di Adanà del 1909 e, durante la prima guerra mondiale […], lo sterminio in massa del popolo armeno […] La questione armena è stata così risolta distruggendo gli armeni in quanto tali. L'attuale repubblica di Turchia disconosce anche il nome di Armenia, ha turchizzato le regioni orientali e agguagliato nominalmente i superstiti agli altri cittadini, cercando ad un tempo di eliminarli dalla vita dello Stato". (Dizionario Enciclopedico Italiano TRECCANI - voce "Armenia").
La prima guerra mondiale si rivelò ben presto un disastro di proporzioni colossali per l'impero ottomano. La decisione di eliminare completamente il popolo armeno venne presa nei primi mesi del 1915, mentre la Russia avanzava in Anatolia e la stessa Costantinopoli era minacciata dallo sbarco alleato nei Dardanelli. Il compito fu affidato al Teshkilat i-Mahsusa, un'organizzazione legata al Ministero dell'Interno.
L'eliminazione fu pianificata e razionale. Il via all'operazione venne data il 24 aprile 1915 a Costantinopoli, dove vennero arrestati, deportati e uccisi intellettuali e uomini politici. Poi, nell'Anatolia orientale, ebbe inizio un'operazione di trasferimento che avrebbe dovuto portare le popolazioni - si disse - lontano dal fronte. Invece, le autorità dei villaggi furono subito arrestate e uccise.
"[…] Senza ascoltare nessuna delle loro ragioni, rimuoverli immediatamente, donne, bambini, chiunque essi siano, anche se sono incapaci di muoversi; e non lasciate che la gente li protegga, perché con la loro ignoranza mettono al primo posto guadagni materiali piuttosto che sentimenti patriottici e non riescono ad apprezzare la grande politica del governo. Perché, invece di misure indirette di sterminio usate in altri luoghi, come severità, furia (per portare avanti le deportazioni), difficoltà di viaggio, miseria, possono essere usate misure più dirette da voi, perciò lavorate con entusiasmo [...]" ( Ministro dell'Interno Talaat, 9 marzo 1915).
Gli uomini adulti vennero separati dalle famiglie e uccisi. I vecchi, le donne e i bambini vennero costretti a partire per la deportazione a piedi. Morirono quasi tutti per strada di fame, fatica e stenti. La stessa cosa si ripeté nell'Anatolia occidentale e nella Cilicia, che erano lontane dal fronte di guerra. Nel luglio del 1915 nell'Anatolia orientale sotto il dominio turco non rimanevano più armeni. Solo quelli che si trovavano nelle zone russe riuscirono a salvarsi (circa 300.000).
Non è possibile conoscere le cifre del genocidio. C'è incertezza sulla consistenza della popolazione armena prima del genocidio: 2.100.000 abitanti secondo il patriarcato armeno (1912); 1.170.000 secondo il censimento ottomano (1914). Le vittime sono probabilmente oltre un milione.
Con il trattato di pace di Sèvres (1920), la Turchia di Kemal Atatürk - nata sulle ceneri dell'impero ottomano - avrebbe dovuto riconoscere l'esistenza di uno stato indipendente armeno nell'Anatolia orientale. Non è mai successo. Né la Turchia ha finora riconosciuto che sia stato perpetrato alcun genocidio nei confronti degli armeni.

 

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