Pubblicato su politicadomani Num 54 - Gennaio 2006

Carlo Magno
L'artefice della rinascita dell'Europa
Dall'alleanza fra il regno pontificio e la monarchia franca nasce il sacro romano impero d'occidente

di Alberto Foresi

Al di là della consueta retorica che sembra affliggere la figura dei più illustri personaggi del passato, il re franco Carlo Magno può legittimamente essere annoverato fra le più significative personalità dell'età medievale. Era figlio di Pipino il Breve, scaltro maestro di palazzo dei re merovingi, ai quali, nel 752, riuscì a sostituirsi, forte anche dell'appoggio di papa Zaccaria, che cercava un valido alleato in grado di opporsi in Italia al regno longobardo. Carlo, riunificato il regno nelle proprie mani dopo la morte, nel 771, del fratello Carlomanno, si fece continuatore della politica filopontificia e antilongobarda paterna. Mentre Carlo ripudiava la propria moglie Ermengarda, figlia del sovrano longobardo Desiderio, a Roma papa Adriano sopprimeva con la forza la fazione militare sostenuta dai Longobardi e, contemporaneamente, riallacciava il legame con la monarchia franca. Il tentativo di Desiderio di minacciare direttamente l'Urbe (772) costituì il pretesto per la richiesta di aiuto da parte del pontefice nei confronti di Carlo, il quale, sulle orme del padre, attraversò le Alpi, sconfisse il re longobardo in val di Susa e, dopo un lungo assedio alla città di Pavia in cui si era asserragliato, lo obbligò alla resa e a porre fine al regno longobardo in Italia. Da questo momento, quale patricius romanorum, Carlo Magno si intromise ripetutamente nelle vicende interne del nascente stato pontificio, esercitando una sorta di sovranità territoriale su tutti i possedimenti della Chiesa romana. Punto finale del legame tra papato e monarchia franca sarà la sua incoronazione, la notte di Natale dell'800, a imperatore del risorto Impero romano cristiano d'Occidente.
Ma l'impegno contro i Longobardi è solo uno degli aspetti della politica espansionista carolingia. Nella penisola iberica Carlo condusse ripetute spedizioni nel vano tentativo di sottrarre le popolazioni cristiane al dominio del califfato di Cordova. Si volse con maggior successo alla conquista dei territori della Germania centro meridionale, sottomettendo e convertendo i Sassoni capeggiati da Vitichindo - in realtà sterminandoli con un'immane carneficina - , facendo riconoscere la propria autorità ai Bavari e portando i confini del suo regno fino all'Elba e al Danubio. Queste conquiste da un lato posero fine alle invasioni barbariche che dagli ultimi secoli dell'Impero romano si erano abbattute sull'Europa centromeridionale, dall'altro costituirono le basi della futura nazione germanica, traendola fuori da quel confuso miscuglio di tribù che costituiva allora il mondo germanico.
L'Impero carolingio aveva, in realtà, ben poco in comune con l'Impero romano e con il contemporaneo Impero bizantino. Mentre questi ultimi erano strutturati secondo una precisa ed elaborata realtà statuale, con governatori e funzionari dipendenti direttamente dalla corte, l'Impero carolingio si caratterizzava per una gestione del potere territoriale quanto mai frammentaria, tipica del fenomeno feudale. L'Impero di Carlo era infatti diviso in contee e in marche, che, sebbene rette da fiduciari nominati dal sovrano, godevano di fatto di ampia autonomia nella gestione del proprio potere. Nondimeno Carlo Magno tentò di esercitare su di loro il proprio controllo, facendo ricorso a propri ispettori, denominati missi dominici. Parimenti il sovrano franco si preoccupò di legiferare, emanando disposizioni di carattere generale, i capitularia, ogni qual volta le esigenze lo richiedessero. Anche in questo caso, tuttavia, appare evidente la frammentarietà di tale ordinamento giuridico, affatto diverso dalla sistematicità del diritto romano giustinianeo che, osservato e progressivamente modificato nell'Impero bizantino, costituirà il fondamento del diritto moderno e contemporaneo.
È interessante notare anche come Carlo Magno, nonostante fosse fornito di scarsa cultura letteraria, intuì l'importanza che potevano avere per il suo regno la diffusione dell'istruzione e la missione di civilizzazione che i monasteri benedettini stavano allora svolgendo nell'Europa barbarica. Proprio dal monachesimo benedettino Carlo trasse il più dotto e fidato dei suoi consiglieri, l'anglo Alcuino, e a lui affidò il compito di formare presso la corte imperiale la Schola Palatina, una sorta di accademia itinerante, destinata ad accompagnare il sovrano nei suoi continui spostamenti. Proprio a questa scuola appartennero i più insigni esponenti della cultura dell'epoca, quali lo storico longobardo Paolo Diacono, il grammatico Pietro da Pisa e Eginardo, autore della principale biografia del sovrano.
Per completare il quadro di quella che è stata definita la Rinascenza carolingia, Carlo non si limitò a favorire la cultura solo presso la sua corte, ma si preoccupò anche della diffusione periferica dell'istruzione, favorendo la nascita, presso le sedi episcopali e le abbazie, di scuole destinate non solo alla formazione degli ecclesiastici ma anche dei laici, promuovendo la riscoperta dei principali autori della latinità classica romana.

 

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