Pubblicato su Politica Domani Num 53 - Dicembre 2005

Pianeta carcere
Il sistema penitenziario in Italia
In un incontro con i volontari di "Volare", il direttore del carcere di Velletri racconta il sistema penitenziario in Italia

di Giuseppe Makovec

Il nostro sistema penitenziario è stato in qualche modo "copiato" da quello anglosassone. Con una differenza sostanziale però. Caratteristica del nostro sistema è l'esigenza di coniugare il rigore della pena con un umanesimo di fondo. Nel sistema anglosassone è più accentuato l'aspetto retributivo della pena, la quale serve, cioè, a ripagare la società per il crimine che è stato commesso.
L'ordinamento penitenziario in Italia nasce nel 1975. Ma già all'atto della sua nascita esso risulta datato e insufficiente. È completamente assente il reato di tipo associativo e vi viene descritto un tipo di detenuto che non c'è più. Negli anni '60, quando l'ordinamento è inizialmente pensato dal legislatore, il criminale è solo un individuo che si è posto fuori delle regole, un singolo che opera da solo, senza un'organizzazione criminale alle spalle. Manca del tutto l'idea di crimine come associazione organizzata. Probabilmente negli anni '60 era ancora in gran parte così. Intanto però la criminalità si era organizzata. A Roma il salto di qualità avvenne in seguito all'episodio dei fratelli Menegazzo, a piazza dei Caprettari: rapina più omicidio.
La legge del 1975 ha un punto di forza: prevede misure alternative alla detenzione. C'è un momento in cui la pena non è più utile e viene percepita come odiosa. È il momento della crisi individuale del detenuto. La società deve poter far leva su questa crisi e sostituire la pena con misure alternative. La legge del '75 escludeva da questi benefici i detenuti colpevoli di crimini come i sequestri, le rapine e le estorsioni, allora percepiti come particolarmente minacciosi per l'ordine pubblico.
In seguito al periodo tragico del terrorismo negli anni '70, le carceri si riempiono di individui i cui crimini sono molto diversi da quelli ipotizzati nella legge del '75. Anche le storie personali e la preparazione culturale di questa tipologia di detenuti sono del tutto nuove. Si rendono necessarie profonde modifiche all'ordinamento penitenziario. Queste arrivano nel 1986, con la legge Gozzini. Con i terroristi si è stati molto duri. Al limite di quei principi ispirati a quell'umanesimo di cui la legge del '75 si era fatta espressione. Poi, con il passare degli anni e con la dissociazione all'interno delle carceri dalle ideologie e dai gruppi che avevano provocato l'ondata del terrore, c'è stato un moltiplicarsi di convegni e di studi per riformare l'ordinamento penitenziario. Per i detenuti politici, quando viene meno la loro fede politica di solito viene meno la loro pericolosità. Questa l'idea di fondo. Maturò allora l'idea che la vecchia legge avesse dei limiti. La nuova, quindi, doveva prevedere che tutti potessero godere dei benefici alternativi alla detenzione.
La strage di Capaci e quella di via d'Amelio - nelle quali caddero vittime della mafia, insieme alle loro scorte, i giudici Falcone e Borsellino - sono alla base di un'ulteriore modifica dell'ordinamento penitenziario: anche il detenuto che appartiene a grandi organizzazioni criminali può sperare nelle misure alternative alla detenzione, a condizione che rompa ogni legame con l'organizzazione criminale e collabori.
È chiaro, quindi, come l'ordinamento penitenziario sia uno strumento politico e di lotta alla criminalità. E, in quanto tale, esso è flessibile nel senso che si adatta ai tempi e alle circostanze.
Pertanto non esistono concetti assoluti quali la certezza o la flessibilità della pena. Si tratta di concetti estremamente relativi perché non esiste una pena immutabile nel tempo. La criminalità è un fenomeno sociale e come tale è limitato al tempo a cui si riferisce. Inoltre, non è il crimine al centro dell'ordinamento penitenziario, bensì l'uomo, sia come autore che come vittima del reato. Un concetto che è ribadito anche nella costituzione europea. Perfino la pena dell'ergastolo non può essere considerata definitiva. Dopo 20 o 25 anni di carcere anche il detenuto che è stato condannato all'ergastolo può uscire, se dà speranza. E occorre lasciare sempre una porta aperta alla speranza.

 

Per approfondire
Liberare la pena - Comunità cristiana e mondo del carcere - Percorsi pastorali
Collana editoriale Caritas-EDB (Edizioni Dehoniane Bologna) - Numero 5, maggio 2004 - pgg. 96 - 2,50 eu.

 

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