Pubblicato su Politica Domani Num 53 - Dicembre 2005

Disagio sociale
Periferie
Difficilmente in Italia potranno verificarsi le stesse rivolte che hanno incendiato le banlieue parigine. Ma il malessere delle periferie è reale anche da noi e occorre un cambiamento radicale

di M. M.

I "periferici"in Francia sono sei milioni, quattro in Italia. Sono quelli che vivono nelle periferie. Città dormitorio dove c'è poco meno del nulla. E nel nulla il degrado che cresce. La bomba ad orologeria è scoppiata a Parigi. Qui nelle banlieue, le periferie di Parigi, vivono 5,5 di quei sei milioni di separati dalla città. In Italia sono nelle "mostropoli" di Corviale a Roma, dello Zen di Palermo, di Scampia a Napoli, e poi ancora nelle periferie di Milano e di Torino sorte attorno ai grandi stabilimenti industriali, una volta pullulanti di vita e di speranza. Ora disperati.
Le rivolte delle banlieue parigine non sono solo quelle degli immigrati, di seconda generazione, francesi a tutti gli effetti. Sono le rivolte degli esclusi e dei precari. Esclusi dal benessere e precari nella vita. Sono le rivolte di coloro che non ce la fanno più a tirare avanti e non hanno prospettive. Sono i nuovi poveri che si ribellano. I figli degli immigrati che, a differenza di altri, non si sono integrati né economicamente né socialmente (i nuovi immigrati non possono ribellarsi perché debbono pensare a sopravvivere). Gli impiegati che hanno perso il lavoro. I maestri. I pensionati. I piccoli commercianti. I commessi. I fattorini. Tutta quella umanità che da un po' di tempo non riesce più ad arrivare alla fine del mese. Quella che non riesce più a risparmiare. Quella che in Italia ha ritirato il Tfr per usarlo un po' alla volta. L'iscrizione del figlio all'università. La nuova lavatrice. Gli arretrati della luce. Le medicine che il servizio sanitario non passa più. L'affitto di casa. E il mutuo.
Le politiche neoliberiste della destra francese - e non solo francese - hanno spinto ai margini, nelle banlieue, l'umanità che popolava i quartieri del centro. È colpa di queste politiche se il mercato immobiliare si è gonfiato a dismisura. Dal 1997 al 2004 +90% in Francia, +65% in Italia (The Economist, marzo 2005). Il mercato delle case è malato. Non si investe più in edilizia popolare. In Italia per gli alloggi sociali il governo ha stanziato un misero 0,2% (la media europea è del 3,8%, quella inglese è del 7%). Il patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici - Inps, Inpdap, Inail, Incis -, che facevano da cuscinetto sociale, è stato dismesso (o è in via di dismissione) con le cartolarizzazioni. Gli immobili sono finiti nelle mani di assicurazioni e di banche e gli inquilini sono sempre meno tutelati. 27.251 unità immobiliari dismesse con la Scip1 e 62.880 lo saranno a breve con la Scip2.
Il taglio delle risorse ai Comuni colpisce prima di tutto i fondi destinati agli aiuti sociali come quelli per aiutare le famiglie indigenti a pagare l'affitto.
I tassi di interesse particolarmente bassi degli ultimi anni, più che favorire lo sviluppo delle imprese e gli investimenti produttivi, sono stati usati nell'edilizia privata e nel mattone. Il 71,4% degli italiani sono proprietari di case, ma molti dei nuovi proprietari si sono impegnati con le banche in mutui che li accompagneranno per l'intera vita lavorativa. Con interessi, per di più, che tenderanno inevitabilmente a crescere. L'altro 28-30% è quello che meno ce la fa. Sono principalmente loro gli esclusi, i precari, e quelli rimasti ai margini. Quelli ai quali è negata anche la speranza. Quelli delle periferie, dei quartieri dormitorio di Roma, Napoli, o Palermo.
Quartieri fantasma. Espressione della incapacità degli architetti che li hanno disegnati e dei politici che li hanno permessi, di concepire abitazioni destinate alla vita. Dove lo spazio è ripiegato su se stesso e gli edifici diventano depositi umani.
Come prevenire in Italia la miscela esplosiva che infiamma le periferie di Parigi? Ridando senso e dignità alle periferie. Portando fra la gente esperienze di volontariato e forme d'arte e di spettacolo, esclusive dei centri delle città. Abbellendole, le periferie, e creando punti di aggregazione importanti. Costruendo, anche, proprio qui nelle periferie, edifici e creando spazi dedicati all'arte e alla cultura. È questa l'idea di Renzo Piano che, come esempio, cita l'Auditorium di Roma, il Waterfront di Genova e anche la Columbia University che a New York si sta ampliando verso Harlem e sta costruendo una biblioteca sulla piazza che negli anni '60 fu il quartier generale dei Black Panthers.
Un cambio radicale di prospettiva: il cuore della grande metropoli si divide e si trasferisce ai margini, accanto e in mezzo ai quartieri più popolosi. Una soluzione coraggiosa che va affiancata da nuove politiche sociali, riprendendo in mano progetti di edilizia sociale. Altrimenti saranno fuoco e fiamme.

 

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Num 53 Dicembre 2005 | politicadomani.it