Pubblicato su Politica Domani Num 53 - Dicembre 2005

L'umanità nascosta (e vicina) di un mondo a parte
L'intervista
Risponde Giuseppe Makovec, Direttore del Carcere di Velletri

A cura di Maria Mezzina

Qual'è il senso del suo lavoro, e in che modo è possibile rapportarsi con un mondo, quello del carcere, che di per sé implica esclusione e isolamento?
Il carcere va visto nel suo essere parte della società. Una parte con cui occorre convivere. Sbaglia chi si accosta al carcere partendo da ideologie politiche. Sia che si tratti di ideologie punitive, sia che si tratti di ideologie che vedono nel crimine il risultato di situazioni di disagio. Il crimine sfugge ad analisi di tipo socio-politico, né può essere interpretato a partire da presupposti di tipo ideologico. Esiste un insieme di spiegazioni per il crimine. Si tratta di un grande problema che investe quelli più poveri e meno culturalmente preparati e quelli che, invece, hanno tutto: ricchezza e background culturale. Nel carcere c'è di tutto, aspetti disumani e anche grandi slanci. Nel carcere c'è un'umanità che va scoperta giorno per giorno.

Come scoprire, allora, questa umanità, e in che modo è possibile stabilire con essa un rapporto alla pari?
Il carcere e la collettività lavorano insieme. L'ordinamento penitenziario regola questo rapporto. Ci sono l'amministrazione carceraria, che si occupa delle cose pratiche, e c'è il volontariato. Gli articoli 17 e 78 della legge 354 del 1975 fanno appello alla società e alla collettività perché si crei una sinergia positiva fra il mondo del carcere e il mondo del volontariato. I risultati possono essere sorprendenti. Ci sono persone che lavorano nel carcere da anni e sono ancora piene di entusiasmo. Non basta, però. Occorre muovere l'opinione pubblica, specialmente i giovani, e promuovere occasioni di incontro e di riflessione. Le attività dei volontari di Volare* sono gocce in un mare. Ma sono gocce importanti perché fanno riflettere gli addetti ai lavori e tutto il Paese. Per scendere nel concreto, sono molto importanti alcuni dei progetti che l'associazione ha presentato. Il progetto "Lettura", per esempio, anche se in carcere ci sono pochi lettori costanti. Anche il progetto di "Educazione all'ascolto della musica" può essere importante. Per i detenuti qualsiasi occasione che permette loro di uscire dalla cella e comunicare fra loro e con l'esterno è fondamentale.

Nel carcere di Velletri il lavoro dei volontari, per quanto pregevole, rimane confinato nell'ambito dell'individuale e del personale. C'è difficoltà a coinvolgere i detenuti come comunità e la comunità esterna al carcere. Perché?
Innanzi tutto va precisato che la struttura di Velletri è una casa circondariale. Questo significa che delle persone detenute circa 100, un terzo, sono in attesa di giudizio. Quelle che stanno scontando la pena in via definitiva sono 120. Gli altri, un altro terzo, sono detenuti "di passaggio", mandati a Velletri da altre carceri e che si trattengono, a volte, solo pochi giorni. Questa altissima mobilità ha finora impedito di organizzare all'interno una vita sociale attraverso progetti che richiedono, invece, una certa stabilità.

Quanti sono i detenuti e a quali tipi sociali appartengono prevalentemente?
In questa struttura ci sono dai 350 ai 370 detenuti. Il 40% sono stranieri, specialmente albanesi e rumeni. Estrazione sociale e livello culturale sono generalmente bassi. Ci sono parecchie persone condannate per reati legati al traffico di stupefacenti. Numerosi sono i tossicodipendenti che vengono curati e presi in carico dal Sert.

Qual'è il ruolo e quali sono i compiti della polizia penitenziaria?
Nel carcere di Velletri lavorano circa 200 agenti di polizia penitenziaria. Al personale di polizia penitenziaria si richiede un'alta professionalità. Nel carcere ci sono drammi e pericoli. E ci sono regole. Arriva in carcere chi in genere è vissuto senza regole. Le regole sono importanti per governare la violenza. Il carcere è un luogo violento. Sono gli stessi detenuti che chiedono le regole, anche se poi è difficile rispettarle. La regola va imposta e va governata dalla ragione. L'ideale sarebbe che queste regole vengano coniugate con le attività e vengano interiorizzate da ciascuno. Accade però che nel carcere si ragioni con una logica diversa, un po' a rovescio rispetto al mondo di fuori. Gli agenti di polizia penitenziaria debbono essere in grado di capire questa logica e di interpretare i comportamenti che ne derivano. Ovviamente senza dimenticare la logica normale e cercando, anzi, di armonizzare, per quanto possibile, la logica del carcere con la logica del mondo esterno, che non può non essere la logica della ragione. Essi sono inoltre chiamati ad espletare una serie di compiti, da quelli di routine, quali la sorveglianza e l'osservazione, a quelli di aiuto.

Qual'è il suo rapporto con i suoi collaboratori e con i detenuti?
I due aspetti non sono separati, anzi. Il direttore di un carcere deve collaborare con tutti i dipendenti, in primis proprio con gli agenti perché sono loro ad avere il rapporto più diretto con i detenuti. Ed è bene che sia così. In primo luogo è necessario il rispetto dei ruoli. Il direttore sta all'istituto penale come un direttore d'orchestra sta alla sua orchestra. Nel senso che da suoni diversi deve costruire l'armonia e riconoscere la nota stonata per renderla armonica. Per superare difficoltà e tensioni, e costruire una condizione normale di vita penitenziaria c'è bisogno di grande professionalità, impegno ed energia costanti. Perché la legge non ha anima, l'anima la mette il personale. Per quanto riguarda la percezione che ha di me la parte del personale, essa è quella del "dittatore democratico", il quale deve, tra l'altro, saper gestire un processo di sindacalizzazione del corpo che a volte si presenta eccessivo e confuso.

* VOLARE (l'acronimo sta per VOLontari Assistenza Reclusi) è un'associazione onlus costituitasi di recente. Fra i soci fondatori ci sono persone che fanno volontariato in carcere da molti anni.

 

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