Pubblicato su Politica Domani Num 53 - Dicembre 2005

Recensione
L'impresa irresponsabile
In un libro di Luciano Gallino il lucido esame delle strategie imprenditoriali dei nuovi manager d'impresa

di Fabio Antonilli

Si è diffuso in questi ultimi anni un modo di fare impresa che compromette alle radici i tradizionali scopi del fare impresa, innovare cioè il modo di produzione, introdurre nuovi beni, creare occupazione. Lo spiega Luciano Gallino nel suo ultimo libro "L'impresa irresponsabile" (Einaudi, Torino, 2005). Scrive l'autore nell'introduzione: "Si definisce irresponsabile un'impresa che al di là degli elementari obblighi di legge suppone di non dover rispondere ad alcuna autorità pubblica e privata, né all'opinione pubblica, in merito alle conseguenze in campo economico, sociale ed ambientale delle sue attività" (pag. VII).
L'attenzione di Gallino è sul "governo dell'impresa" e sui cambiamenti che sono avvenuti a partire dalla seconda metà degli anni '70. La stagnazione dell'economia a livello mondiale ha depresso i consumi riducendo drasticamente i margini di profitto delle imprese. Per riportare i tassi di profitto ai livelli di prima i nuovi manager hanno agito su quattro fronti: la riduzione del costo del lavoro; l'aumento dei prezzi più rapido rispetto all'adeguamento delle retribuzioni; l'attacco ai sindacati condotto direttamente dallo Stato; la de-localizzazione delle unità produttive in zone del mondo dove i salari sono molto bassi.
"Per riuscire nell'intento - sottolinea Gallino - le imprese avrebbero dovuto uscire dal settore manifatturiero in gran numero, al fine di non creare un eccesso di capacità produttiva". L'impresa non più come un'istituzione che crea profitti producendo beni o servizi, ma come un'entità capace di accrescere il capitale, misurato dal proprio valore in borsa. E così è stato. La teoria che ha fornito la legittimazione razionale a tale intento ha un nome: "massimizzazione del valore per gli azionisti". Ciò che conta è l'interesse esclusivo degli azionisti.
Il fenomeno è detto "finanziarizzazione dell'economia", che significa, spiega Gallino, "il predominio delle transazioni di carattere puramente finanziario - attinenti alla vendita di titoli azionari o obbligazionari, o altri prodotti finanziari - sugli scambi commerciali che rientrano nell'economia reale". Un modo di fare impresa, questo, che costituisce una "rottura del compromesso keynesiano-fordista che aveva servito da criterio guida al capitalismo manageriale del periodo definito [..] come "i trenta gloriosi" (1946-75). L'essenza di tale compromesso era una tregua nel conflitto capitale-lavoro che aveva consentito di far arrivare le classi lavoratrici, sotto forma di salari reali crescenti, a migliori condizioni di lavoro e ampliamento delle protezioni sociali una quota consistente della ricchezza nazionale in aumento".

 

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