Pubblicato su Politica Domani Num 53 - Dicembre 2005

Gas, defolianti e affini
Armi chimiche, un secolo di storia
Risale alla prima guerra mondiale l'uso di armi non convenzionali (chimiche). Con la costruzione degli armamenti nucleari, sembravano diventate obsolete. Non era così

di Alberto Foresi

Il primo uso significativo delle armi chimiche risale alla Prima Guerra Mondiale. Le sostanze asfissianti causarono più di un milione di vittime. Si pensò allora che i gas venefici avrebbero rappresentato l'arma del futuro, capace da sola di risolvere i conflitti. Questa idea, rivelatasi ben presto erronea, provocò una corsa alla produzione di armi sempre più efficienti, che venivano sperimentate direttamente sui campi di battaglia. L'inizio della guerra chimica viene datato al 1915, con la battaglia di Ypres, località belga dove i tedeschi utilizzarono per la prima volta il di(2-cloroetil)solfuro sprigionato da grosse bombole, causando circa 5000 morti fra le truppe francesi. Il gas ha preso il nome di iprite proprio da quella località. Le vicende di Ypres sono passate alla storia perché per la prima volta l'uso dei gas dette risultati di un certo rilievo.
Queste sostanze, però, erano già state usate da molti eserciti. Agli inizi degli anni '40 nei laboratori di produzione degli insetticidi vengono scoperti, come prodotti secondari, gli "agenti G", appartenenti alla famiglia dei gas nervini. Conosciuti come tabun, sarin, soman, esteri alchilici dell'acido metilfluorofosfonico e di altri acidi, sono aggressivi chimici rapidamente letali, con una tossicità molto superiore ai loro predecessori.
Durante la II Guerra Mondiale si continua a produrre e immagazzinare sostanze tossiche come l'adamsite, già utilizzata durante la guerra civile russa del 1919-1921; l'iprite, impiegata dall'Italia in Abissinia durante la guerra italo-etiopica del 1935-1936; il Clark I e II (defenilcloroarsina e defenilcianoarsina), usati dai giapponesi nel conflitto cino-nipponico dal 1937 al 1944.
Intanto, però, la strategia militare cambia: i soldati non sono più ammassati in trincee, facile bersaglio di nubi vaganti di gas. Si richiede una grande mobilità alle truppe (che non vanno ostacolate con equipaggiamenti protettivi). Gran parte delle riserve d'armi chimiche rimangono così inutilizzate. Alla fine del conflitto l'avvento delle armi nucleari indusse politici e militari a ritenere la guerra chimica una cosa ormai superata. L'efficacia delle armi chimiche è infatti spesso legata a fattori imprevedibili come quelli meteorologici, e, inoltre, la maggior parte degli eserciti si era attrezzata con equipaggiamenti difensivi soddisfacenti.
Era ormai assodato che l'uso dei gas non poteva bastare da solo per risolvere un conflitto. Eppure si ritennero ancora le armi chimiche lo strumento più efficace ed economico per perseguire obiettivi specifici. Nella guerra del Vietnam (anni '60) gli americani spargono grandi quantità di defolianti per privare i guerriglieri Vietcong della copertura naturale delle foreste di mangrovie e irrorano i campi di riso per limitare le riserve di cibo. Si calcola che dal 1961 al 1971 siano stati utilizzati 72 milioni di litri di erbicidi e 400.000 bombe al napalm le cui tossine hanno inquinato per decenni il suolo del paese. Tra le misture di agenti tossici usati, il più conosciuto è l'agent orange (il nome viene dal colore dei bidoni in cui era contenuto), un erbicida alla diossina i cui micidiali effetti (cancro, disfunzioni immunitarie) hanno colpito non solo l'ambiente e la popolazione vietnamita, ma anche molti soldati americani.
Durante gli anni '60 e '70 si usa la guerra chimica con finalità di terrorismo psicologico. L'impiego di iprite e fosgene durante la guerra civile dello Yemen (tra il 1966 e il 1967) non ha finalità strategiche, ma tende a prostrare psicologicamente l'avversario.
Le armi chimiche usate nella guerra fra Iran e Iraq (1980-1988) avrebbero dovuto sconfiggere il nemico nel più breve tempo possibile. Alla fine degli anni '70, quando Saddam Hussein, approfittando dell'instabilità iraniana creata dall'ondata di fondamentalismo introdotto dall'ayatollah Khomeini, occupò importanti zone petrolifere iraniane a occidente di Bassora, era convinto di fare una guerra lampo. Non sarebbe stato così: il conflitto si protrasse fino al 1988, estenuò gli eserciti e impoverì ambedue le nazioni.
Fu allora, alla metà degli anni '80, che iniziarono le operazioni di allestimento e sviluppo degli arsenali di armi chimiche in Iraq. Per risolvere rapidamente il conflitto, Saddam non esitò ad usarle contro migliaia di pasdaran iraniani e, fra il 1987 e il 1988, anche contro la minoranza curda ribelle, nel Kurdistan iracheno. Nell'attacco chimico su Halabja, nel marzo del 1988, ci furono in un solo giorno circa 5000 vittime, quasi tutte civili.

 

Homepage

 

   
Num 53 Dicembre 2005 | politicadomani.it