Pubblicato su Politica Domani Num 52 - Novembre 2005

Il Cile
Un paese, una storia

 

Una lunga striscia di terra. Si stende dalla cima delle Ande verso l'oceano Pacifico lungo tutta la lunghezza per 6.435 chilometri di costa. Fino alla punta più a sud dove le acque del Pacifico incontrano quelle dell'Atlantico, al confine con la Terra del Fuoco. Ancora più a sud di Usuhaia, la città argentina nata dal lavoro di tanti italiani.
Dal 2000 è capo del Governo e capo di Stato Ricardo Lagos Escobar. Lagos aveva collaborato con Salvator Allende, il Presidente democraticamente eletto dai cileni nel 1970. Lagos, candidato della coalizione di centrosinistra, riporta le forze democratiche di sinistra di nuovo al potere nel palazzo presidenziale della Moneda. Lo stesso che le forze golpiste di Pinochet avevano bombardato per costringere Allende alla resa. Era l'11 settembre del 1973, una data che diventerà il simbolo del sacrificio della democrazia. La morte di Allende quel giorno è rimasta un mistero: suicidio dissero i militari golpisti, omicidio sostennero gli uomini fedeli ad Allende.
"Il Cile ha una lunga storia civile con poche rivoluzioni e molti governi stabili, conservatori e mediocri. Molti presidenti piccoli e solo due presidenti grandi: Balmaceda e Allende. È curioso che entrambi provenissero dallo stesso ceto, dalla borghesia ricca, che qui si fa chiamare aristocrazia. Come uomini di principi, impegnati a ingrandire un paese rimpicciolito dalla mediocre oligarchia, i due furono portati a morte allo stesso modo. Balmaceda fu costretto al suicidio per essersi opposto alla svendita della ricchezza del salnitro alle compagnie straniere. Allende fu assassinato per aver nazionalizzato l'altra ricchezza del sottosuolo cileno, il rame. In entrambi i casi l'oligarchia cilena ha organizzato delle rivoluzioni sanguinose. In entrambi i casi i militari hanno svolto la funzione della muta dei cani. Le compagnie inglesi nel caso di Balmaceda, quelle nordamericane nel caso di Allende, fomentarono e finanziarono questi movimenti militari." Così scriveva Pablo Neruda (1904-1973) a soli tre giorni dal colpo di stato e la morte di Allende.
La sua lunga tradizione di stabilità ha fatto del Cile un paese prospero, in costante crescita economica, soprattutto a partire dalla caduta della dittatura di Pinochet. Negli anni '90, mentre l'economia mondiale subiva uno stop generalizzato, il tasso di crescita cileno ha oscillato fra il 6% e il 7%. Oggi è intorno al 5,8%. Con un tasso di inflazione pari al 2,4%, uno di disoccupazione pari all'8,5%, un deficit annuale poco superiore all'1% del PIL, la performance economica del Cile è molto più vicina a quella di un paese europeo che a quella, per certi versi drammatica, dei suoi vicini, Brasile e Argentina.
Alcuni economisti vedono nello sbilanciamento verso l'export straniero (circa 30 miliardi di dollari su 169 di Pil, il 20%) un pericolo per la stabilità del paese. Se questo pericolo c'è, è certamente ancora lontano dal momento che la Cina, affamata di materie prime e di prodotti agricoli, vede nella ricchezza mineraria e agricola del Cile, per di più a buon prezzo, un ottimo motivo per stringere forti legami economici.

 

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Num 52 Novembre 2005 | politicadomani.it