Pubblicato su Politica Domani Num 50/51 - Set/Ott 2005

Incontri
Youssuf, uno dei tanti
Immigrati. Oggi sono le nostre "forze di riserva". Domani, probabilmente, la colonna portante del nostro sistema sociale. E i loro diritti?

di Fabio Antonilli

Napoli - L'incontro avviene su uno dei tanti e desolati treni regionali che da Napoli portano a Caserta. Lui è un immigrato senegalese, dunque extracomunitario, che ritorna dalla sua giornata lavorativa nel capoluogo campano. "In verità - ci dice - lavoro e vivo a Caserta durante tutta la settimana, ma la domenica vado a Napoli sperando di racimolare qualcosa vendendo occhiali da sole a turisti e ai napoletani". Il suo nome è Youssuf, 28 anni.
Il treno percorre a velocità modesta la pianura del casertano. Al tempo del Regno borbonico era chiamata "Terra di lavoro". Vaste coltivazioni di pomodori, mais, grano, tabacco, piantagioni di pesche, agrumi, che i binari della ferrovia dividono a metà. Youssuf guarda fuori dal finestrino e dice "Li vedete, questi campi? Chi credete che li raccolga i frutti? Noi immigrati. Io stesso scendo nei campi a selezionare le foglie della pianta di tabacco destinata alla produzione di sigarette. Un salario da fame e un lavoro da spaccarsi la schiena. È questo che mi aspetta domani". Ci racconta di un imprenditore agricolo che giocando sulla loro miseria e disperazione paga solo 30 euro al giorno. "Naturalmente il lavoro è dall'alba al tramonto!", aggiunge. L'ennesima storia di sfruttamento che ormai non interessa più nessuno.
"Non vogliamo mica essere pagati per non far niente, ma questo è vero e proprio sfruttamento! Non ci stiamo!" ci dice seccato.
I tempi cambiano, ma la storia si ripete. Tra il 1500 e il 1600 migliaia di africani furono trasportati nelle Americhe per lavorare le piantagioni di cotone. Nel 1800 i colonizzatori europei (francesi, spagnoli, olandesi, italiani e soprattutto inglesi) occuparono e si spartirono tutta l'Africa, sfruttando e vessando le popolazioni autoctone. Poi i movimenti di indipendenza del '900 fecero tornare a casa i colonizzatori europei. Oggi sono loro, gli africani, a venire da noi.
"Si parla tanto di quelli che dovrebbero essere i nostri diritti, ma la realtà è che questo argomento non interessa a nessuno in politica. Non c'è nessuno che ci rappresenta perché siamo solo una grossa e scomoda quantità, utile quando c'è bisogno di fare lavori mortificanti e stancanti, di impaccio quando chiediamo un riconoscimento civile. Una massa. E nessuno ci considera per la nostra soggettività e i sacrifici che facciamo per sopravvivere".
Il tempo passa, è già buio, Caserta è ormai vicina. Arriva il controllore. Un uomo grosso, carnagione scura, viso chiaramente maghrebino. Un'altra generazione di immigrati. In un buon italiano, senza inflessioni, dice "biglietti prego!". Youssuf, davanti all'incredulità e alla curiosità spiccatamente maliziosa dei due italiani seduti di fronte a lui, tira fuori dalla grossa sacca di canapa il suo biglietto. "Dove va?" chiede il ferroviere. "A Caserta" risponde Youssuf. "Sta per arrivare, si prepari".

 

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