Pubblicato su Politica Domani Num 50/51 - Set/Ott 2005

Mercati
Milioni e milioni di T-shirt made in China
L'invasione sui mercati europei dei prodotti tessili cinesi potrebbe essere anche un'opportunità

di Francesco Lautizi

Prendete il paese con la maggiore crescita economica mondiale, un po' di gelosia "occidentale" mista a paura, qualche cucchiaio di preoccupazioni e, infine, una ingente quantità di prodotti che dall'oriente arrivano nel vecchio continente. Il risultato è un mix esplosivo. La miccia che ha fatto esplodere l'allarme Cina è stata innescata da un eccessivo export di prodotti tessili verso l'Europa. L'UE reagisce. Blocco di milioni di capi d'abbigliamento made in China presso porti e dogane. Prodotti non autorizzati allo smistamento e, quindi, al commercio. Escalation di tensioni, preoccupazioni ed un pizzico di terrore. L'influenza dei mercati a basso costo sull'economia europea è forte. Fortissima nel settore tessile. Non rispettando l'impegno di autolimitazione delle esportazioni preso a giugno con l'UE, l'export cinese nel settore dell'abbigliamento ha raggiunto numeri che hanno costretto l'Unione Europea ad un vertice. C'è subito una frattura sul fronte interno: i paesi del nord, tra cui la Germania, sostenitori degli interessi dei grossisti sono costretti a confrontarsi con gli stati produttori di tessile, Spagna, Francia e Italia. La frattura rischia di trasformarsi in crisi politica. Gli interessi sono troppo divergenti. Le conseguenze delle decisioni a riguardo toccano soprattutto questi paesi che sono i maggiori produttori di abbigliamento e tessile, e che si trovano ad affrontare la grave crisi che colpisce proprio questi settori. In Italia sono molti i posti di lavoro scomparsi in province come quella di Como, dove è presente la maggiore industria di seta del nostro paese. "Siamo di fronte ad un cambiamento degli equilibri mondiali - afferma Romano Prodi - noi abbiamo una paura inconscia della Cina e dell'Asia. È una paura in contrasto con i nostri ideali". Le affermazioni di Prodi delineano un mondo in via di cambiamento e la necessità di una politica europea flessibile, dinamica e capace di interpretare e accompagnare questi cambiamenti e di convergere anche verso gli interessi di realtà che stanno vivendo una crescita economica colossale. Dall'altra parte gli industriali italiani esigono - a "gran voce" e a "lettere cubitali" - una risposta europea che l'Europa non sembra disposta a dare. "La Padania", storica testata giornalistica della Lega, tra errori di grammatica e scivoloni sulla sintassi, si fa portavoce della richiesta dei produttori italiani riguardante una maggiore tracciabilità dei prodotti. Tra le richieste de "La Padania" ce n'è una diretta a Berlusconi: dire "no" agli ultimi accordi tra UE e Cina. La richiesta rimane inascoltata. La rappresentanza italiana presso il Parlamento europeo dà il via libera. La soluzione è un accordo in piena regola tra le due parti, con sacrifici da entrambi i lati: metà dello smistamento dei prodotti importati dalla Cina e che per mesi sono rimasti nei container sarà a carico dell'Unione Europea; il resto sarà a spese della Cina, con un incidenza sui valori di esportazione che verranno prossimamente accordati. La politica economica cinese, fondata in gran parte su condizioni di lavoro ai limiti dello sfruttamento, pianificata, e di stampo socialista sta ottenendo evidenti risultati. L'effetto dell'invasione sul mercato dei prodotti tessili cinesi risulta devastante per le piccole e medie imprese europee del settore che sono costrette ad innovare e reinventarsi continuamente. Per sopravvivere e anche progredire le nostre imprese devono puntare sulla creatività che deve diventare il fulcro delle industrie tessili italiane e che deve essere preservata dalle imitazioni. L'ondata di abbigliamento made in China ha comunque un effetto positivo sui nostri mercati per chi acquista. In tempi in cui un salario medio non riesce più a garantire un livello di vita adeguato, è importante che ci sia disponibilità di beni di consumo a basso prezzo. D'altra parte, le scarpe e i capi d'abbigliamento "griffati" e distribuiti sul mercato internazionale, che sono comunque made in China o made in Taiwan, sono venduti a un prezzo che è decine di volte quello di produzione.
Poiché è impensabile (e irrealizzabile) una chiusura delle frontiere, è importante che l'Europa sappia coniugare in modo intelligente le garanzie per i propri prodotti con l'apertura alle merci che vengono dal colosso orientale.

 

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