Pubblicato su Politica Domani Num 50/51 - Set/Ott 2005

L'intervista
"All Children in School"
Sean H. Ferrer, figlio di Mel Ferrer e Audrey Hepburn, attrice e ambasciatrice Unicef , è il presidente della Fondazione.

di Maria Mezzina

Signor Ferrer, quando è nata l'idea di una Fondazione a favore della scolarizzazione dei bambini del terzo mondo?
L'idea è nata subito dopo la morte della mamma. Abbiamo creato un fondo alla sua memoria presso l'Unicef dedicato all'educazione dei paesi che lei aveva visitato durante i suoi anni come ambasciatrice dell'Unicef. Rwanda, Somalia, Sudan, Eritrea ed Etiopia. Le sembrava che l'unico modo di cambiare un po' il corso della loro storia sarebbe stato tramite l'educazione. Oggi, dopo dieci anni, noi rinnoviamo il nostro impegno con l'Unicef allargando la prospettiva di questo programma, rendendolo globale e chiamando la nostra partnership con l'Unicef "All children in school". Questo è il nostro modo di partecipare al loro programma: educare 120 milioni di bambini di cui due terzi bambine.

Che idea si era fatta Audrey Hepburn sulla dipendenza dalla povertà dei paesi del terzo mondo?
La povertà è una conseguenza di scelte politiche. Oggi i governi del G8 hanno finalmente deciso di condonare gli interessi sul debito dei paesi poveri. Si tratta di interessi al 10% su prestiti concessi dalla BM e dal FMI negli anni '50, '60 e '70. Questi paesi hanno già ripagato il debito contratto, sono solo stati liberati dagli interessi straordinari. Tutto ruota intorno alla politica. Il paese supportato da una superpotenza può permettersi di fare un certo numero di cose. La superpotenza si prende i vantaggi economici legati al suo aiuto economico, ma non lo gestisce bene e permette che tutti questi soldi vadano in conti privati in Svizzera, oppure nelle casse dei mercanti di armi per guerre in cui neanche si rispettano le leggi internazionali sul trattamento dei bambini e delle donne in tempo di guerra. La mamma si rendeva conto molto bene di questo. Diceva però: "Quando sei dove sono io percepisci il problema della povertà come un'emergenza, come un'urgenza." Raccontava sempre questa storia del bambino: "Sei seduta nel tuo salotto e senti una frenata e un botto, il rumore di uno scontro. Esci fuori e vedi che un bambino che giocava a pallone è stato investito, non è che ti fermi e incominci a dire ma di chi sarà la colpa, ma lei quanto veloce andava e ai genitori ma lei lo guardava suo figlio? Io lo prendo in braccio e corro in ospedale per salvargli la vita. E un bambino alla volta è quello che io faccio. Questo è il mio posto, io non sono una politica ... Spero che un giorno ci sarà un'umanizzazione della politica. Fino ad allora l'unica cosa che io posso fare è di provare a salvare quelli che sono innocenti di tutto questo."

Al secondo punto dei Millennium Development Goals c'è l'istruzione primaria per tutti i bambini del pianeta. Ci sono legami fra la Fondazione e i programmi internazionali volti a realizzare gli "Obiettivi del Millennio"?
Si e no. Tutti usano questa tabella di impegni creata alla fine degli anni '90. Ma se andiamo avanti così non si arriverà a niente. Il primo obiettivo, di sollevare dale condizioni di povertà e di fame i 25 paesi più poveri del mondo entro l'anno 2005, è già stato mancato. Con l'istruzione poi, si vuole toccare una generazione. Questo vuol dire solo mandare 100 milioni di bambini a scuola oppure essere sicuri che, usciti dal sistema, potranno avere un effetto sulla società? Questo è cosa a lungo termine.
Per realizzare gli obiettivi del millennio occorre un cambiamento radicale di prospettiva. Il sistema economico che permetteva interessi al 10% e ritorni che raddoppiavano il capitale in 10 anni è finito. Non esiste più il guadagno gratuito, soltanto per aver prestato i tuoi soldi. I soldi non valgono più niente. Ora sono le persone che valgono. Per questo presenteremo la Audrey Hepburn Humanitarian Award a Bob Geldof. Per quello che lui ha fatto - nel suo piccolo - da ormai 10 anni e che con il suo Live 8 ha avuto un risultato inaspettato: ha fatto vedere che alla gente importa, e che la gente è capace di mettere a fuoco i veri problemi e sa quali sono le vere priorità.

In che modo la Fondazione intende realizzare questo programma di scolarizzazione?
La fondazione è un partner di Unicef. Il nostro lavoro è di dare visibilità e di trovare fondi per Il progetto. Tocca poi all'Unicef mettere in atto i programmi.
Il primo passo è costruire le scuole. Dove non ci sono possibilità c'è questa meravigliosa scuola in una valigia, "school in a box", una valigia di alluminio grande come due valigie normali che viene lanciata da un aereo con un paracadute e che contiene tutto il necessario per 80 bambini - compresa la pittura per fare una lavagna, matite, libri, ecc... - per far partire un curricolo di base.
Altra cosa importante è il training degli insegnanti. Penso a un paese come l'Afghanistan dove da circa 15 anni, durante il periodo dei talebani, non c'è stata scolarizzazione. Qui la sfida era molto interessante: educare un insegnante che si ritroverà con dei bambini di 5, 6 e 7 anni e con dei bambini di 14 e 15 anni. Occorre anche preparare gli educatori per la prossima generazione di insegnanti, perché non si può rieducare un insegnante ogni 10/15 anni e, quindi la persona a cui viene passato il bagaglio di conoscenze e di strumenti didattici deve essere capace un giorno di passarlo a qualcun altro. Un po' come una piramide.
Terzo punto importante sono gli interventi a lungo termine. Sono quelli che mi stanno più a cuore e di cui sto cercando di capire meglio il lato legale. Mi spiego. Oggi l'educazione è essenzialmente basata su un business di copyright. Ci sono molti strumenti didattici che sono troppo costosi e noi non possiamo permetterci di esportarli nei paesi del terzo mondo. Sul costo di un classico solo una piccola porzione va alla famiglia dell'autore. Invece, nel caso di cose create per programmi specifici, come dei libri originali, una grossa parte del costo va a coloro che hanno creato il curricolo. C'è quindi un copyright che si aggiunge ai costi di stampa - già molto alti - e che rende impossibile l'acquisto. È necessario ridurre i costi di produzione di questa educazione generale. Un modo è attraverso un sistema informatico che funzioni con poca energia. In futuro non ci sarà più nessun disco rigido, tutto sarà soft. Ci sarà la possibilità di viaggiare su internet e di raggiungere una tua casella che contiene tutti i tuoi documenti. Il computer sarà solo una finestra aperta sul tuo ripostiglio. Questo sarà un posto virtuale presso una compagnia che non solo custodirà i tuoi files ma ti aiuterà continuamente con software ed altro. L'Africa non verrà mai cablata e su tutto il continente verrà sviluppato un sistema di comunicazione tramite computer wireless. È meglio allora, nel prossimo futuro, pensare ad un accordo con la società che porterà in Africa internet e i computer di base. In questo modo si potranno risparmiare i costi altissimi della stampa.
Infine, sarà necessario arrivare a degli standard di educazione di base, una specie di "esperanto" del prossimo centennio capace di comunicare un sistema di base educativo nel mondo attraverso i tantissimi confini linguistici. Il direttore dell'educazione presso la nostra Fondazione si sta occupando di questo aspetto e sta preparando un progetto da presentare all'Unicef.

In quanti siete impegnati nella Fondazione?
Che lavorano ogni giorno siamo pochi: io, mia moglie, mio fratello Luca, Robert Wolders, Ellen Erwin, Paul Alberghetti e Kirk Hallam. Fra i tanti altri che ci danno il loro supporto ci sono dei bellissimi nomi come Dustin Hoffman, Paul Newman, Larry King, Julia Roberts. La loro fama aiuta il nostro lavoro.

Quale somma riuscite a raccogliere in un anno e quale, invece, sarebbe necessaria?
È stato stimato che il progetto "All Children in School" abbia bisogno di 8 miliardi di dollari l'anno. L'Unicef tira su oltre 1 miliardo di dollari l'anno (il budget dell'Unicef nel 2004 è stato di 1,978 miliardi di dollari n.d.r.). Otto miliardi sembra una cifra molto grossa, ma è invece piccola se paragonata alle spese dei primi tre mesi della guerra in Iraq o alle spese necessarie per la ricostruzione di New Orleans. Noi riusciamo a mettere insieme poco più di un milione di dollari l'anno che distribuiamo nei vari progetti.

Come pensate, allora, che questo progetto possa essere realizzato?
Mai nella nostra vita riusciremo con le nostre forze a finanziare questo progetto. Il padrone della Microsoft, che fa beneficenza per parecchie centinaia di milioni di dollari l'anno, non riuscirebbe neanche lui nella sua vita a mettere insieme tanto. Sono cifre gigantesche, ma non a livello dei governi. I governi fanno la scelte, ma le priorità dobbiamo dargliele noi. L'unico modo per cui noi possiamo avere un vero effetto e un vero ritorno è, politicamente parlando, di aiutare a far capire alla gente dei paesi dei G8 quanto sia importante che in ogni famiglia ci sia una persona che si occupi non solo della politica del proprio paese, dell'ambiente o del debito interno, ma anche del debito esterno, del debito di cui con i nostri comportamenti ci rendiamo responsabili nei confronti di questo mondo che diciamo globalizzato. Si tratta di dare potere all'individuo e di educarlo spiegandogli che la cosa più importante è di dare il suo tempo. Per i soldi noi ringraziamo, ognuno dà quello che può. E questo permette a tutti, che siano l'Unicef, l'Oxfam o Médecins Sans Frontières, di continuare, e salvaguardare la situazione come è adesso. Mantenere in vita un bambino alla volta, come diceva la mamma.
Ma per risolvere il problema di base ci vuole il tuo tempo. Il tuo tempo di leggere su internet, di scrivere al tuo politico dicendo quanto è importante che i governi aiutino i paesi poveri della terra e lo facciano in modo intelligente.

 

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