Pubblicato su Politica Domani Num 48/49 - Giu/Lug 2005

Misteri italiani
Una tragica fatalità?
I punti oscuri della liberazione di Giuliana Sgrena

di Alberto Foresi

Qualcosa non ha funzionato. Con un morto, due feriti e la missione parzialmente fallita questo è il minimo che si può sostenere. Il problema è capire cosa non ha funzionato. Non facciamoci trarre in inganno dalle effimere rimostranze del nostro premier, che, nonostante l'accaduto, ha costantemente ribadito l'indissolubilità della nostra alleanza con gli Stati Uniti, e le asserite diverse conclusioni cui sono giunti i componenti americani e italiani della commissione d'inchiesta. Le conclusioni in realtà coincidono e dare tutta la colpa al mancato rispetto delle cosiddette regole d'ingaggio in quell'inferno di Baghdad, alle nove di sera, in una delle zone più soggette ad attentati, con una pattuglia composta da reclute della Guardia Nazionale, è come voler multare per eccesso di velocità Schumacher al Gran Premio di Monza. Anche il contrasto sul presunto eccesso di velocità dell'autovettura appare, in ultima analisi, irrilevante in quanto già 50 chilometri orari in quelle condizioni ambientali potevano essere eccessivi. A quella velocità un'automobile percorre circa 15 metri al secondo. Considerando i tempi di reazione del conducente, in quel momento impegnato al telefono, il dubbio istintivo, avvertiti i primi colpi "di avvertimento" di cui nell'oscurità si ignorava la provenienza, se frenare o accelerare per sottrarsi ad un attacco, è legittimo supporre che la macchina abbia percorso fra i 15 e i 50 metri. Troppi per una pattuglia che teme un attacco suicida.
Si è parlato di una macchina crivellata da centinaia di pallottole, ma le immagini hanno restituito una realtà differente. La macchina è stata colpita solo da alcuni proiettili che, purtroppo, sono andati a segno con buona precisione. Si è persino ipotizzato che fosse un attacco preordinato finalizzato ad eliminare la Sgrena. Ma anche questo è inverosimile in quanto non si capisce perché i soldati americani non abbiano portato a termine il compito loro assegnato, visto che non solo avevano tutto il tempo per farlo ma, se l'operazione era stata pianificata precedentemente, potevano anche inscenare un agguato ad opera di terroristi iracheni. In ultimo il governo italiano ha protestato per il fatto che il teatro dello scontro non sia stato lasciato inalterato sino all'arrivo degli investigatori italiani. Obiezione quanto mai risibile: in Italia - basti pensare ai delitti di via Poma o di Cogne - non si è mai riusciti a preservare il luogo del crimine e ora si pretende che ciò avvenga, in circostanze affatto più drammatiche, nei pressi dell'aeroporto di Baghdad, in pieno teatro di guerra.
Insomma, tutto fa supporre che l'incidente sia stato causato, come sostenne il Ministro degli Esteri Fini, da una tragica fatalità. Malgrado il morto, l'operazione in fondo ha avuto successo e l'ostaggio è stato liberato, se non proprio sano almeno salvo.
Il problema è che non ci si può limitare ad una conclusione così riduttiva e minimalista di fronte ad un avvenimento tanto tragico e drammatico. Qualcosa è andato storto, ma bisogna capire cosa, e perché è andata così, anche per rispetto a chi nell'operazione è morto. Ogni azione umana comporta dei rischi, anche scendere le scale di casa, ma, quando si sta portando a termine una missione così delicata, il margine lasciato agli imprevisti deve essere necessariamente ridotto al minimo e non è credibile che siano state commesse leggerezze o imprudenze proprio da chi conduceva l'operazione, rischiando la propria vita e quella delle altre persone coinvolte.
Per capire qualcosa di più bisogna cercare di ricostruire la dinamica dei fatti.
Gli Americani, per ammissione delle stesse autorità italiane, non erano stati informati sul tipo di missione che il dottor Calipari stava compiendo a Baghdad. È legittimo supporre che almeno la CIA fosse stata informata, in via ovviamente ufficiosa, ma proprio per questo la notizia non è stata diramata ai vari organi potenzialmente interessati alla cosa. Dato che i Servizi americani hanno il controllo totale di tutte le comunicazioni telefoniche, è anche plausibile che in realtà tutti sapessero tutto, ma, in ogni caso, nessuno ha diramato direttive al riguardo. Vero è che si trattava di una missione riservatissima, di cui meno persone sono al corrente e meglio è, e che non era necessario rendere pubblico a tutti i soldati americani di Baghdad di cosa si stava trattando: bastava però segnalare di prestare riguardo ad una determinata automobile con a bordo dei cittadini italiani.
La capitale irachena, per quanto in preda al caos, è comunque posta sotto il controllo degli Stati Uniti di cui siamo alleati. Perché dunque tanta riservatezza nei confronti del nostro alleato? In primo luogo perché gli accordi presi fra i membri della coalizione impedivano il pagamento di riscatti. Accordi che, a quanto pare, gli italiani hanno più volte violato. Questo spiega la rapidità con cui si voleva portare via Giuliana Sgrena da Baghdad, senza che gli Americani ne sapessero niente, almeno ufficialmente, e la mancanza di scorta all'autovettura. È stato anche sostenuto che in tutta Baghdad non c'era un solo posto sicuro ove custodire l'ostaggio liberato fino al mattino successivo. Se così fosse non ci potrebbe essere ammissione più esplicita del fallimento totale di tutta la guerra.
Sembra piuttosto che la rapidità della fuga sia stata motivata dal tentativo di porre gli Americani di fronte al fatto compiuto, senza concedere loro la facoltà di poter interferire nella liberazione dell'ostaggio e sottraendo così quest'ultimo ad un doveroso interrogatorio da parte degli apparati di sicurezza statunitensi. Qualcosa di simile sembra sia accaduto già in precedenza: l'ostaggio Simona Torretta ha affermato pubblicamente che la liberazione si è risolta in una precipitosa fuga da Baghdad utilizzando, anche in quella circostanza, un aeroplano della Presidenza del Consiglio Italiana pronto a partire dall'aeroporto. In pratica sembra che l'Italia abbia condotto le operazioni di liberazione degli ostaggi non in un contesto ambientale certamente difficile ma comunque sotto il controllo di una nazione alleata quanto, piuttosto, in un territorio nemico ove non si poteva contare sulla collaborazione di nessuno.
Un ultimo particolare inquietante è trapelato da fonti ufficiose dell'Intelligence americana, le quali affermano, e ciò è plausibile, di essere in possesso delle registrazioni delle telefonate via satellite intercorse tra gli agenti sul campo e Palazzo Chigi, ove erano riuniti il presidente Berlusconi, il sottosegretario Gianni Letta e il Generale Direttore del SISMI Pollari. In questi casi le fonti ufficiose sono da ritenersi attendibili: si tratta infatti del primo passo per far sapere qualcosa di scomodo ad un interlocutore, senza tutte le conseguenze che deriverebbero da una dichiarazione ufficiale. In pratica è un misto di minaccia e di ricatto. È stato infatti sostenuto che la causa del fallimento dell'operazione è stata l'eccesso di spettacolarizzazione dato dal Governo italiano all'operazione. Non solo. Si minacciava che, se fosse emersa la reale dinamica dei fatti, ci sarebbero state pesanti conseguenze. In un'operazione così riservata, di cui non era stata data notizia nemmeno ai nostri alleati, quale potrebbe essere la spettacolarizzazione di cui si parla? Quel venerdì, su Rai1 era in onda la penultima serata del Festival di Sanremo; un evento che, per quanto in calo di ascolti, polarizza tuttora buona parte dell'audience televisivo. È legittimo supporre che la fretta imposta a tutta l'operazione sia proprio dovuta al desiderio di trasformare un'operazione pericolosa e riservata in un evento mediatico? Con Giuliana Sgrena che, al pari delle due Simone, scende trionfante dall'aereo a Ciampino, accompagnata da qualcuno a cui sarebbe andato il merito della liberazione, dato che il dottor Calipari, come imponeva il suo ruolo, sarebbe rientrato nell'ombra, accolta magari da un Berlusconi in disperato bisogno di arginare il calo di popolarità. L'ipotesi acquista ulteriore credito data l'imminenza delle elezioni regionali e le previsioni tutt'altro che rosee per la coalizione di governo, come poi i risultati elettorali hanno confermato.
Perché, infine, di fronte ad un evento simile, la nostra opposizione e la cosiddetta stampa libera hanno tenuto una posizione così morbida sulle possibili responsabilità del governo, oscillando fra il dovuto riconoscimento del valore e dell'abnegazione del dirigente dei nostri Servizi di Sicurezza, così assurdamente caduto, e un vago antiamericanismo strisciante e ormai un po' stantio?
Cercare la verità e impedire che anche questa tragedia vada a sommarsi alla lunga serie di misteri italiani non vuol dire gettare ombra sulla figura del dottor Calipari, anzi: significa vedere se un onesto e valido rappresentante delle nostre istituzioni e l'operazione che stava conducendo siano stati sconsideratamente esposti a rischi eccessivi per vanità o, peggio, per interessi elettorali.

 

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