Pubblicato su Politica Domani Num 48/49 - Giu/Lug 2005

Prodi, Rutelli e "pane e cicoria"

di Maria Mezzina

Ci è piaciuta l'espressione di Rutelli "pane e cicoria", per indicare il duro lavoro fatto per dare all'Ulivo di Prodi, con la Margherita, un'anima di centro. Lo scandalo che la frase ha suscitato si riferiva, se mai, alla provenienza di Rutelli. A quella sua appartenenza ad una famiglia certamente benestante per cui gli è stato possibile entrare nell'agone politico senza troppe preoccupazioni di carattere economico.
La posta in gioco, in realtà, è alta, ma è molto meno drammatica di quanto la stampa e lo stillicidio quotidiano dei media vogliono farci intendere.
C'è nell'idea del partito unico di Prodi l'esigenza, chiaramente ed onestamente espressa dal Professore, di avere una "squadra coesa" - per dirla in termini calcistici oggi tanto di moda - capace di far fronte alle gravissime responsabilità che sarà chiamata ad affrontare in caso di vittoria alle elezioni politiche del 2006.
Ma questa idea di partito unico si scontra con due esigenze contrapposte (direi inevitabilmente) da sempre. C'è infatti da una parte un gruppo di sinistra, i DS, i cui dirigenti, pur avendo "prestato" temporaneamente il partito a Prodi, non fanno mistero di voler giocare all'interno della futura Unione un ruolo predominante: una sorta di ago della bilancia fra i centristi della Margherita e i neocomunisti di Rifondazione, per (eventualmente) assorbire dagli uni e dagli altri; con il risultato di spostare a sinistra l'asse dell'Unione. Dall'altra c'è il gruppo dei centristi - in realtà, ben più numeroso di quanto non appaia, e politicamente "navigato" -, i quali sono da sempre (e a ragione) refrattari a qualsiasi tipo di "intruppamento" sia a sinistra che a destra, e che a questo disegno non ci stanno.
Non è, quindi, questione di leadership, come dicono giustamente tra le fila della Margherita. È piuttosto questione di democrazia e di sano confronto politico. E per fortuna.
Non è in dubbio la figura di Prodi. C'è infatti bisogno di un solo nocchiero capace di condurre l'imbarcazione nella tempesta, per di più con il rischio reale di affondare. Ciò che è messo in discussione è la negazione della legittimità di posizioni diverse, ora e in futuro; l'appiattimento individuale; la morte della libera dialettica politica. Qualcosa, cioè, di molto simile a quanto è avvenuto nell'altro schieramento che, sull'appiattimento e sulla difesa ad oltranza del proprio leader, oltre i limiti dell'indifendibile, ha consumato se stesso.
La febbre che si misura in questi giorni è una "febbre di crescita", che, però, una stampa interessata al sensazionalismo, piuttosto che alla reale conoscenza e comprensione dei fatti, dilata a beneficio di chi dalla confusione ha sempre tratto vantaggio. E quanto questo avvenga in buona fede o inconsapevolmente è tutto da verificare.

 

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